Dalla guerra alla bufera. 18 febbraio 1942. Mario Carnevale racconta

Da sx: Mario Carnevale, Paolo Potena e Domenico Di Nucci
Da sx: Mario Carnevale, Paolo Potena e Domenico Di Nucci

Mario e Paolo Potena venivano dall’Albania in licenza. A sera si erano imbarcati a Durazzo in direzione Brindisi. Mario aveva sofferto mal di mare nella traversata perché il mare era mosso e per i continui cambi di direzione della nave che doveva eludere la vigilanza avversaria. Giunsero al mattino a Brindisi e da lì in treno, passando per Napoli, giunsero a Vairano in serata. Ripartirono da Vairano in treno che era ancora notte, arrivarono a San Pietro Avellana il mattino presto. Si recarono alla locanda di Mammalinda e Giuliitt, nelle vicinanze della stazione. Da due giorni presso la locanda c’era anche Domenico di Nucci, Ming de Carmenone 47 anni grande invalido, “aveva una notevole deformazione ai piedi, in parte amputati per le ferite riportate nella prima guerra mondiale”. Era stato a Foggia per sostituire le protesi. Tutti e tre dovevano raggiungere il paese.

Da due giorni nessuno era sceso da Capracotta a prelevare la posta. Era la prova che su c’era bufera. Paolo e Mario mancavano dalle loro case da lungo tempo, erano desiderosi di riabbracciare le loro famiglie. Dopo tante ore di viaggio non potevano fermarsi a quattro passi da casa e trascorrere giorni preziosi della loro licenza nella locanda. I due giovani militari, Paolo 32  anni e Mario  21, erano disposti   ad affrontare anche la bufera, sicuri di farcela. Gli undici chilometri che li separavano dai loro affetti non li spaventavano, anche se c’era neve.

Anche Domenico voleva tornare a casa, quale occasione migliore di quella che si presentava? L’aiuto di due giovani era provvidenziale. I due militari lo volevano aiutare, ma erano consapevoli della fatica alla quale andavano incontro. La presenza dell’anziano invalido, che aveva evidenti difficoltà di deambulazione, rendeva particolarmente rischioso il viaggio a tutti. Quegli undici chilometri per Capracotta sarebbero stati certamente lunghi e faticosi.  Giù alla stazione nevicava con calma, ma loro pensavano al difficile passaggio de “la Montagna”, che conoscevano bene. Per loro due, pur se giovani e abili, quel passaggio sarebbe stato un grande rischio perché lì la bufera era di casa. Non potevano dirlo, ma non erano proprio convinti di portare Mingo. Non era opportuno che affrontasse una prova così impegnativa, erano seriamente preoccupati.

Giuliitt, invece, voleva in un certo senso liberarsi dell’ospite e giocò d’anticipo. Preparò due muli: uno per sé e gli zaini dei due militari, l’altro per Ming, Paolo e Mario a piedi. Mammalinda diede ad ognuno di loro due mele, partirono intorno alle nove. Fino al “traliccio” non ci furono grosse difficoltà, ma come immaginato alla partenza, a quel punto c’era la tormenta. Mancavano ancora circa cinque chilometri per il paese, i più difficili. Giuliitt, consapevole del rischio, non volle andare oltre.  Scaricò i muli li salutò e tornò indietro. Domenico non pensò minimamente di tornare indietro, volle proseguire. C’era tanta neve, i bordi  della strada erano riconoscibili dai grumi di neve ghiacciata rimossa dallo spazzaneve i giorni precedenti, la carreggiata era già ricolma di neve fresca. Si affondava. Avanzare non era agevole né per Ming, né per i due giovani. Per non affondare nella neve camminavano a tratti sulla cresta dura della neve vecchia, a tratti sulla strada ove scoperta. Loro due procedevano alternandosi: uno faceva l’apripista e l’altro aiutava Ming. Avanzavano lentamente e a fatica. Il vento li spingeva indietro e gli scaricava addosso, sul viso e negli occhi nugoli di neve, facendogli mancare il fiato.

Con tanta fatica arrivarono alla casa cantoniera, che solitamente era aperta per accogliere i passanti. Si scrollarono la neve di dosso, mangiarono una mela che provvidenzialmente Mammalinda aveva messo nelle loro tasche. Dopo una breve sosta, si prepararono per riprendere il cammino, i due militari con il pastrano sul capo, Ming avvolto nella sua mantella, partirono.

La traccia fatta da chi precedeva non bastava all’invalido il quale trascinava un piede, ed era una gran fatica vincere la resistenza della neve.  Nel bosco, al riparo da vento, fecero un’altra sosta e si ristorarono mangiando la seconda mela. Ripresero il cammino e giunsero alla “Croce Cinale”. Per il paese mancava ancora un chilometro. Un nulla rispetto al lungo tragitto fatto fin lì, ma dopo tante ore di cammino Mingo non riusciva a camminare più, Paolo e Mario erano sfiniti, occorreva aiuto. Concordarono con Mingo che loro due avrebbero raggiunto il paese in fretta e lui sarebbe rimasto lì. Mingo infatti avvolto  nel suo mantello rimase allungato sulla strada e Paolo e Mario si diressero velocemente verso il paese.

Alla Madonna incontrarono Antonio Sammarone il quale aspettava il fratello Serafino, che ovviamente non era giunto e non sarebbe arrivato. I tre proseguirono e giunsero in paese, erano le ore sedici, incontrarono Luigi Paglione. Mario e Paolo indicarono ad Antonio e a Luigi il punto ove avevano lasciato Ming  e li pregarono di soccorrerlo in fretta.  I due subito cercarono altre persone e andarono a riprendere Ming. Lo trovarono interamente ricoperto di neve, arrotolato nel suo mantello. Non era più in grado di camminare e lo portarono in paese in un mantello a mò di amaca.

Ming a seguito  di quell’avventura rimase dieci giorni a letto.  Paolo e Mario trascorsero la loro licenza in famiglia. A fine licenza Mario ripartì per Caserta, Paolo per la Grecia.

Paolo non è mai più tornato, a ottobre dello stesso anno è nato Michele.

Michele Potena