Letteratura capracottese: “La leggenda dei monti naviganti” di Paolo Rumiz

Il giorno dopo il braccio meccanico, di nuovo in piena forma, risale la Val d’Arda alla ricerca dell’Arca perduta. Al mattino, a colazione, ho cercato tra i nomi di luogo sul libriccino allegato alle cartine TCI e ho trovato solo conferme. L’Appennino è una fattoria degli animali. È zeppo di toponimi come Capracotta, Passo del Cifalco, colle dell’Agnello, Cantalupo, Orsomarso. Posti come Caniparola, Gole della Gatta, Vaccarizza, Strangolagalli. Ho davanti a me una penisola che raglia, grugnisce, abbaia, ulula. Un universo che bela, muggisce, fa chicchirichì. E poi Campobasso, che tutto è meno che basso, e che deriva, parrebbe, dal termine punico “wsk”, luogo militare dove si prepara il corredo dei soldati. Anche Capracotta, sembra impossibile, ma non vuol dire affatto quel che sembra. Viene da “kapr”, villaggio, e “kot”, distrutto con il fuoco. E che dire del Gran Sasso, che avrebbe un centinaio di sorgenti dal nome annibalico, e pochissime di origine greca o latina?

Paolo Rumiz, “La leggenda dei monti naviganti”, Feltrinelli 2007