Jennare, jennarone sci sfasciate ru catenare e ru cascione

Un’immagine invernale di Capracotta con la neve di Paolo Conti

Riproponiamo un vecchio testo della compianta Maria Delli Quadri su una antica tradizione capracottese relativa al mese di gennaio.

Nel mese di gennaio la gente, a Capracotta e altrove, metteva mano alle ultime provviste e aspettava con sollievo l’uscita del mese per poter finalmente  riprendere qualche piccola attività; non che febbraio regalasse qualcosa. Ma le giornate più lunghe, il mese più corto, un po’ di sole di tanto in tanto infondevano negli animi speranza e voglia di fare.

Gennaio, con i suoi rigori e nevicate, è stato da sempre un mese poco amato, nonostante la festa di s. Antonio abate, l’ingresso del carnevale, l’uccisione del maiale. Si comincia da Capodanno, l’Epifania, poi col rientro a scuola dopo le lunghe feste natalizie e la fine di tutti i ponti vacanzieri. In attesa di tempi migliori si trascorrevano le giornate chiusi dentro casa a spiare, ogni tanto, le possibili “mosse” del tempo. Il bianco dominava dappertutto, spesso si usciva dalle finestre o si passava sotto gallerie candide e incontaminate.

Finalmente, la sera del 31 gennaio, la popolazione capracottese usciva di casa con qualunque tempo. Partendo dal quartiere di s. Giovanni, percorreva le vie del paese, munita di campanacci e di fiaccole. Le fila si ingrossavano a mano a mano che il gruppo andava avanti. A quei tempi il paese era popolato, per cui giovani, uomini, donne e bambini, tutti bene equipaggiati, sfilavano per le vie innevate, sprofondando nei mucchi di neve fresca, ridendo e scherzando.

Ogni tanto il capo-bandiera arrestava la marcia e, dando uno scossone più forte al proprio campanaccio, gridava con voce stentorea: «Jennare, jennarone, sci sfasciate ru catenare (soffitta) e ru cascione»* . Voleva dire che le provviste erano finite e, dunque, gennaio doveva andare via.

Con malagrazia, tra schiamazzi, urla, sberleffi e fischi, come se il poveretto fosse stato un’entità materiale, il primo mese dell’anno veniva accompagnato fuori dal paese, fino alla chiesa della Madonna di Loreto con grida: “Sciò Sciò, vide la via ch’ia fa’” (Vedi la via di andartene).

Maria Delli Quadri

* Di questo detto popolare esiste una variante con il medesimo significato: «Jennare, Jennarone scopa ru cuatenare e ru cuascione».