Cuande arrèsce re padrone, che ze re viénga a repeglià a la casa méia

Carmine Di Nucci e la moglie Erminia

Papànonno (mio nonno) Domenico Di Nucci, e i figli in età di lavoro possedevano, nel periodo tra le due guerre mondiali, anche buoi e mucche ed integravano il bilancio familiare lavorando il latte e arando le terre. Mio padre Carmine e Zio Mario erano re ualiane, cioè gli aratori, della famiglia. Questo mestiere richiedeva abilità, pazienza e resistenza alla fatica: a fine giornata non si sapeva chi era maggiormente stanco se l’uomo o i buoi. E oltremodo faticoso era anche tornare a casa soprattutto se la terra da arare era molto lontana da Capracotta.

Orbene, dopo una giornata di intenso lavoro,mio padre,giovanotto, stava tornando verso casa alla Fundione e, seguendo la coppia di buoi, attraversava allegramente un campo. Fu colto sul fatto dal proprietario, Carmine Di Rienzo detto Cénnaflora e dopo le imprecazioni e le minacce, nonostante mio padre fosse amico di Felice detto Felecione, figlio di Carmine, fu pattuito che  per rimediare al danno- che secondo mio padre era inesistente-  occorrevano due giornate di aratura. Mio padre non  ci restò troppo bene, anzi, quella storia gli bruciava dentro!

Passò poco e Carmene de Cénnaflora, contadino e piccolo imprenditore che  aveva anche  una piccola squadra di muratori alle sue dipendenze, ottenne l’appalto di ricostruzione di una vecchia casa cantoniera alla Montagna, località posta dopo il bosco verso San Pietro Avellana, proprio vicino terre e prati di nostra proprietà. E scattò nella testa di mio padre la molla del recupero di quelle due giornate di lavoro così abilmente carpite. Così,senza dare nell’occhio, durante i lavori alla cantoniera, mio padre spiava ogni tanto il capomastro che tornava a Capracotta sul suo asino.

Un bel giorno si presentò all’improvviso sul posto e, facendo finta di trovarsi lì casualmente, dopo avere  doverosamente salutato, chiese di chi fosse quell’asino che pascolava legato nel bel mezzo del nostro prato. Il capomastro capì subito l’antifona e rispose che ignorava di chi fosse l’asino. Allora mio padre slegò l’asino e tirandolo per le redini fece per avviarsi lungo la strada che portava a Capracotta comunicando ai presenti: «Può, cuande arrèsce re padrone, che ze re viénga a repeglià a la casa méia!» (Poi, quando vien fuori il proprietario, venga a riprendersi l’asino a casa mia!). Riebbe logicamente il maltolto anche con gli interessi.

Ma la vita a volte si diverte a mischiare le carte in modo imprevedibile: il capomastro e papà mai immaginavano, quando si scambiavano i favori, quali sarebbero stati gli sviluppi successivi! Carmene de Cénnaflora, dal momento che mio padre non era troppo solerte a mantenere l’impegno preso, inviava alla Fundione la nipote Erminia a sollecitare: vai oggi, vai domani, quella bella giovinetta non passò inosservata,fu anche fatta tornare da papà più volte di proposito. E così mio padre,qualche tempo dopo che ebbe ottemperato all’impegno e contraccambiato la cortesia ricevuta si fidanzò con mia madre  e quello sbarbatello che osò restituire all’astuto capomastro   tal colpo di fioretto  ne diventò, industrioso e capace com’era, il nipote prediletto.

Domenico Di Nucci