Discorso sulla “Capracotta Clipper”

Pubblichiamo lo storico e appassionato discorso pronunciato a Burlington, New Jersey, Stati Uniti, da un anonimo oratore il 5 febbraio del 1950 per celebrare il buon esito della raccolta di fondi per l’acquisto dello spartineve Clipper da inviare a Capracotta. Il testo ci è stato inviato dal nostro amico Ben Lariccia, che lo ha trovato nell’archivio del signor Luigi Corbezzolo di Burlington. Pubblichiamo il testo così come ci è pervenuto, preservando l’uso della lingua italiana in alcuni punti incerto perché lascia trasparire bene la gioia e l’orgoglio dei nostri concittadini d’Oltreoceano per il raggiungimento di un risultato sperato ma, all’inizio, nient’affatto scontato.

Egregi Signori, oggi siamo per scrivere la parola fine alla storia del “Capracotta Clipper”. La parola “fine” si scrive F.I.N.E. F.I.N.E. In inglese si legge “fain”. “Fain” significa magnifico. Magnifico è veramente la parola con cui vogliamo chiudere la nostra storiella. Io non sono un oratore, e non me è facile pronunziare un discorso. Voglio dire due parole sole, parole che si esprimono dal cuore e che spesso vengono strozzare dall’emozione, quell’emozione che si prova per la gioia daver riuscito vittorioso agli esami. Un proverbio Americano dice: da un piccolo acino di ianna cresce un gigante cerro (From the little acorn the might sic oak grows). E un acino di ianna fu seminato un giorno qui a Burlington, e col vostro aiuto fu coltivato con la massima cura, inaffiato di tanto in quanto con un dollaro, due, finché diventava un’ammirabile pianticella, ma era debole e spesso si agitava col vento, aveva bisogno d’un palo piantato a fianco per proteggerla dale furie dei venti.

Ed il 31 ottobre 1948 quando vi siete recati a Bristol per ascoltare il diario del viaggio della signora Paglione, me si presentò un palo, un palo di ferro, che io immediatamente piantai a fianco alla nostra pianticella, mai più si agitò mai più si scosse, ma diventava un albero, un albero i cui rami si estedevano oltre Bristol, oltre Burlington e arrivavano a Jersey City. Il sindaco di quella città vistosi quell’albero nel suo giardino lo ammirava dicendo, “ma questo è un bell’albero, degno del mio giardino, degno di coltivazione” e chiamato un boscaiolo in veste giudizaria gli affidava la cura dicendo, “a te l’onore di coltivare quest’albero fino a che produce il suo frutto”. E il boscaiolo toltasi la veste giudiziaria e fornitosi di arnesi rappresentati da questi bravi signori si diede alla coltivazione finché l’albero diventava un gigante e produceva il desiderato frutto, quel frutto che noi tutti abiamo gustato la sera del 9 dicembre a Jersey City, quel frutto che io ho avuto l’onore di vedere impaccato e spedito l’ha dove la natura e la guerra hanno vietato la coltivazione di tali frutti.

E quel frutto e diventato indespensabile nella vita giornaliera di Capracotta, quel frutto ha prodotto un miracolo. Si signori miei, un miracolo. Non molti anni (fa) Antonio e Maria Sammarone hanno una figlia di diciannove anni, nella gioia della giovinezza, sulla soglia del trionfo della vita. Ebbene un giorno veniva colpita da un attacco di pendicite. Capracotta sepolta dalla neve, le strade totalmente bloccate, a poco distanza dal paese giaceva distrutto dalla guerra il vecchio spazzneve, impossibile il trasporto all’ospedale, la giovane Sammarone decedeva vittima della mancanza spazzaneve. (Pochi) giorni (fa) ho ricevuto una lettera nella quale si rileva che il giorno 24 gennaio due giorni dopo repartito il signor Gaito il caso si è ripetuto. Ma grazie a quell’acino di ianna, grazie a quella pianticella, grazie a quell’albero, grazie a quel frutto, il caso si è ripetuto ma le conseguenze sono state totalmente diverse. Un ragazzo veniva colpito da un attacco di pendicite ma fuori il vostro spazzaneve, la via pulita. Il ragazzo caricato su un automobile trasportato all’ospedale di Isernia, operato (e) salvato in tempo.

Questa lettera, signori miei, non e una lettera dai miei famigliari a me, ma è una lettera da Capracotta a Capracotta ed anche a voi o gentili signori di Jersey City, perché oggi anche voi siete Capracotta. Questa lettera ripaga per mille volte quel dollaro che tu hai dato, quel dollaro che io ho dato. Andrea Carnegie, John D. Rockefeller con i loro milioni e milioni che hanno donato per tante opere filantropiche vi assicuro che mai hanno provato quella sodisfazione che regna nel nostro cuore oggi, pensando che con un solo dollaro, un solo dollaro abbiamo salvata una vita. Questa è quella gioia che strozza le parole.

Ed ora permettemi che vi presenti i primi rami di quella pianticella. Vincenzo di Rienzo, Sebastiano di Rienzo, Vincenzo Ferrelli, Francesco Angelaccio, Vincenzo di Lorenzo, Pietro Giuliano, Nicola Paglione, Luciano Trotta, Pasquale Serlenga, Loreto D’Onofrio. A voi cavalieri del merito. A voi Capracotta emigrata, a voi che mantenete sempre nel cuore il ricordo di quelle montagne, di quelle casette, di quei campanili, di quei prati, di quella cappella ove riceveste l’ultimo bacio della mamma, e ove ancora si attende il tuo ritorno, a voi la gratitudine di Capracotta tutta, e a voi Capracotta di Jersey City, per voi non vi sono ringraziamenti i saluti esauriti, per voi questa lettera e la medaglia, superiore a ogni decorazione di ogni governo.

Seconda solamente alla bandiera di Cristo, per mille volte in questa lettera si legge, “Dio vi benedica”. In una sola voce, via Jersey City! Magnifico!!!

Burlington, New Jersey, Stati Uniti, 5 febbraio del 1950