La bellezza e l’incanto

Capracotta imbiancata. Foto: Emilio Ambrosini

Ci sono dei posti magici, diceva Saramago, dove si arriva per caso e dai quali non si parte mai, almeno con la mente. Potremmo servirci di Saramago per raccontare Capracotta e l’incanto, il fascino di questo paese sospeso tra il cielo e la terra, tra i boschi e le piste di sci, tra l’ignoto e la scoperta della bellezza del paesaggio.

Ad impostare così il discorso si rischia di scivolare nell’idillio un po’ consumato, ma non ci sono altre strade per spiegare le meraviglie del paese più alto degli Appennini, quasi del tutto distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale e ricostruito con il rigore di case in pietra, discrete nelle loro linee, che non hanno mai tradito l’atmosfera della montagna. A Capracotta, infatti, non si dimentica per un attimo, in estate come in inverno, di essere in un paese di montagna, non si dimenticano mai le ragioni che ci hanno portato a cercare sensazioni diverse nei diversi momenti dell’anno. In questo luogo dell’Alto Molise, dove l’emigrazione antica e recente ha chiuso molte case, c’è un colore per ogni stagione ed è un privilegio per chi è abituato all’uniformità insignificante della città.

L’inverno è il periodo più affascinante per chi, come me, ha scoperto la bellezza dello sci di fondo, sulle piste di Prato Gentile, in quell’anfiteatro naturale di neve e di alberi dal quale partono tre percorsi che d’estate sono tracciati d’incanto tra faggi, d’inverno di sfida, attraverso i quali si misurano le proprie forze. Arrivare nelle giornate di neve a Prato Gentile significa ripercorrere a mente ogni tratto di pista, da quelli che s’inerpicano su, fino alla Madonnina, in un paesaggio solitario di silenzio e di cristalli attaccati agli alberi come arabeschi, al punto più lontano in cui sembra che la pista precipiti nella valle. Il silenzio è la “voce” che più di tutto colpisce, la trama fitta ed affascinante nella quale si appunta, di tanto in tanto, il rumore di un ramo che si spacca, il tonfo di un blocco di neve che precipita a terra, la sensazione di un equilibrio interiore nel quale scompaiono tutte le tossine accumulate nel corso di una settimana. Quando il fiato si spezza in gola alla sommità della salita o alla fine della discesa, si ha la sensazione di essere parte di quel paesaggio, con l’odore cristallino dell’aria nelle narici e la freschezza che si attacca ai vestiti. Di luoghi affascinanti in cui si perde la dimensione del tempo ce ne sono molti, in molti posti del mondo e dell’Italia, ma Capracotta ha il privilegio di essere rimasta intatta nella semplicità che accoglie l’eccezionalità del paesaggio come un dato di fatto. A sentirsi straordinari, infatti, si finisce per mettere le distanze tra sé e gli altri; a Capracotta, invece, si ha la sensazione di stare in un luogo da sempre noto, nel quale ci si sente accolti ed inseriti perfettamente. I percorsi sono variegati, ognuno con una sua particolarità ed un suo fascino, cosicché si può dire che la scelta dell’uno, piuttosto che dell’altro, è legata alla situazione emozionale del momento; a sentire il gorgoglio di un ruscello in parte bloccato dal ghiaccio, a seguire le impronte di un animale, ad apprezzare la solitudine più assoluta su tracciati perfettamente disegnati, si scopre la parte migliore di sé. D’autunno quegli stessi percorsi si colorano di mille screziature, in una pittura che emoziona, mentre sembra che la natura ripieghi lentamente su se stessa, prima del letargo dell’inverno e dell’esplosione delle tinte primaverili ed estive.

Direi che a Capracotta ogni elemento del paesaggio è dato con misura e sovrabbondanza; non c’è alcuna forzatura nella bellezza, anche perché l‘intervento dell’uomo si è limitato ad una presenza discreta e misurata, ma nello stesso tempo l’armonia del bosco e della montagna, del prato ed del paese è tale che non si può non esserne vinti. E così, per un’intera settimana, mi accompagna il ricordo di quei posti, una boccata d’immensità nella sensazione claustrofobica che la città impone. Ci sono poche sensazioni affascinanti come quelle che camminano sulla pelle quando, alla fine di una giornata di sci, nella macchina del ritorno, si scende da Prato Gentile: in basso il paese che si delinea lentamente, curva dopo curva, sullo sfondo le montagne che tracciano il confine tra Abruzzo e Molise in un tramonto di ghiaccio, tra i colori lividi del cielo in cui annega l’ultimo sole di fuoco, mentre il gelo blocca il respiro in gola e diventa un vestito sulla pelle. A guardare questo paesaggio viene in mente l’immensità della natura che è immensità dell’animo, come ricordava il poeta Mario Luzi, bellezza ed incanto.

Antonella Presutti

Fonte:

Voria, Giornale di Capracotta, Anno 4 Numero 1 – Luglio 2010, pag. 12