Molisani nel Risorgimento: il capracottese Fortunato Conti medico e patriota

La felice idea del «Messaggero», di mettere a disposizione dei cultori di storia patria la sua pagina regionale per la rievocazione dei Molisani illustri nella storia del nostro Risorgimento, mi ha indotto a scrivere questa breve nota su un grande e generoso patriota capracottese: Fortunato Conti.

Nacque a Capracotta da Domenicantonio e da Maria Maddalena Siniscalchi il 20 ottobre 1822, nello stesso giorno in cui, venti anni prima, era nato un altro grande Molisano, come lui medico e patriota: Leopoldo Pilla. D’ingegno vivo e pronto, si distinse subito negli studi medi e universitari, tanto che giovanissimo, aveva appena 23 anni, si laureò in medicina nell’Università di Napoli.

Nel gennaio del 1848, primo fra i primi, entrava come volontario in quel corpo di spedizione per la guerra d’indipendenza che re Ferdinando II, sotto la pressione dei nuovi eventi, dovè consentire che fosse organizzato e inviato, al comando di Guglielmo Pepe, in aiuto del Piemonte.

Obbedendo agli impulsi del suo cuore generoso, il Conti volle partire «non come sanitario, ma come semplice soldato», pur prodigandosi e moltiplicandosi, durante il difficile cammino, nell’apprestamento delle cure ai soldati che, male equipaggiati, cadevano malati in gran numero in quella primavera inclemente.

Il 15 maggio dello stesso anno, quando il corpo di spedizione era giunto a Bologna, avvenne a Napoli, com’è noto, la scissione fra il Re e il Parlamento. Il generale Scalea e il capitano De Angelis furono allora inviati dal Re alla volta di Bologna con un decreto che richiamava in patria il corpo di spedizione! Guglielmo Pepe, letto l’ordine infame, lo stracciò, lo calpestò e sdegnosamente si rifiutò di eseguirlo. Ma gli uomini del corpo, timorosa dell’ira borbonica, ripartirono tutti alla volta di Napoli, meno un manipolo di 800 generosi che, veri eroi dell’ideale, giurarono di immolare avvenire, agi e la vita stessa, alla causa dell’indipendenza italiana. In questa falange di spiriti liberi si trovavano con il comandante Guglielmo Pepe, il Cosenz, il Mezzacapo, Alessandro Poerio, Cesare Rossaroll e, come sempre primo fra i primi, il nostro Fortunato Conti.

Le non liete vicende di quella nostra prima guerra d’indipendenza son note. Riconquistato palmo a palmo il Veneto, meno le lagune e il forte di Osoppo, il Radetsky destinò quindicimila uomini del corpo di Welden a guardia di Venezia, sicché la città, divisa dai Piemontesi, per non rimanere abbandonata all’ira delle truppe asburgiche, per mezzo di Daniele Manin, capo del governo provvisorio, sollecitava il Pepe ad accorrere in suo aiuto. La piccola coorte di napoletani, ingrossata di volontari toscani e romani, qua e là sbandati, da Rovigo, ove era accorsa per prestare aiuto agli insorti , partì subito alla volta di Venezia, ove giunse il 13 giugno. E vi entrava, il generale, con quel pugno di eroi, fra i quali era il Conti, che doveva far stupire l’Europa per le sue gesta leggendarie e che il Manzoni, qualche anno dopo, doveva definire «manipolo di Spartani».

L’armistizio di Salasco non piegò infatti Venezia, che decise, all’opposto, di «resistere all’Austriaco fino all’ultimo». Alle truppe di Welden, che frattanto le aveva intimata la resa, la indomita città rispose con l’eroismo dei suoi figli, che a Marghera e a Mestre scrissero pagine di gloria imperitura. E nella battaglia di Mestre, ove tutti i volontari si distinsero, cadde ferito a morte Alessandro Poerio, assistito fino all’ultimo respiro, con affetto fraterno, da Fortunato Conti. Al quale il fratello dell’eroe, il grande Carlo Poerio, con lettera del 10 novembre 1860, così poteva scrivere: «Non dimenticherò mai, caro dottore, le cure che generosamente prestaste al mio povero fratello Alessandro».

Per rendere più saldi gli apprestamenti difensivi della città, i veneziani si privarono di tutto. Ufficiali e soldati, spontaneamente, rinunciarono ad un quarto della paga, mente il Conti rinunciava addirittura all’intero stipendio del bimestre ottobre-novembre 1848. Della legione napoletana persino i soldati offrirono metà del soldo, tanto che il Manin li definì «tipi di soldati e di cittadini, uomini gloriosi e benedetti». Gli ufficiali e i medici napoletani, poi, erano invitati la sera nelle case dei capi del governo provvisorio ove portavano la nota allegra e gaia della loro terra lontana. Fortunato Conti era ricercato particolarmente da Emilia Manin, figlia del dittatore e da Teresa Renier, bella, gentile e colta figliola del deputato la quale gli scriveva lettere affettuosissime, piene di poesia e di sublime amor patrio.

Promosso, il 9 marzo 1949, chirurgo primario di battaglione di prima classe, il Conti chiese, il 19 dello stesso mese, di essere destinato in un’ambulanza di campagna «essendoglisi un tale posto assegnato fin da quando era partito da Napoli». Del che il protomedico militare Milich grandemente lo lodò.

Le cose, però, non dovevano più andare bene per gli assediati, che, ad onta di tutto lottavano con coraggio disperato, titanico, leggendario. Dei sette medici napoletani quattro erano morti. «I napoletani dei quali ce n’è rimasti pur pochi, sono tutti, tutti fiore di virtù, di valore e d’ingegno», così Niccolò Tommaseo, parlando dei nostri eroi.

Il colera e la fame poterono alla fine più che le armi degli ottantamila soldati del Radetsky, tanto che la sera del 22 agosto 1849 il Manin ordinò ai suoi la cessazione del fuoco.

Così cadeva Venezia, ma non l’ideale.

Esule in Piemonte, Fortunato Conti vi esercitò con grandissimo successo la professione medica, collaborò in riviste scientifiche e conquistò la cattedra universitaria. Ebbe amici carissimi Guglielmo Pepe, Angelo Camillo De Meis, Silvio Spaventa e tutti i patrioti del Mezzogiorno, fra cui Carlo Poerio, che gli scriveva lettere affettuosissime e riconoscimenti.

Dopo l’annessione delle Province napoletane fu nominato, il 18 giugno 1861, Relatore al Consiglio Superiore di Sanità e successivamente, con decreto 24 giugno 1862, Vice Ispettore di pubblica salute.

Raffaele Conti, da un cui libro ho tratto questi appunti e riportato fedelmente alcune espressioni, tiene a rilevare che guadagnò sempre da vivere.

Morì a Napoli nel cui cimitero gli fu dagli amici prestata, la estrema dimora ove fu finanziato un monumento, la sera del 18 giugno 1866, a soli quarantatre anni di età, addormentandosi «sotto un cielo puro come il suo pensiero nell’amore della patria, sorridente come le sue speranze giovanili, quando baldo aveva seguito la bandiera per la guerra d’Indipendenza».

Ercole Conti

Fonte:

E. Conti, Fortunato Conti medico e patriota, Il Messaggero, 21 marzo 1949