I mestieri di Capracotta: il contadino

Ora cercherò, per quanto mi è possibile e dalle testimonianze raccolte, di descrivere lo svolgimento della vita dei contadini di una volta a Capracotta.

Fino ad alcuni decenni fa l’agricoltura e le attività ad essa legate rappresentavano, in molte zone, l’unica fonte di guadagno e di sostentamento per la maggior parte delle famiglie. Le campagne non versavano certamente in uno stato di abbandono come accade oggi: la terra era diligentemente coltivata e anche i più piccoli lembi, situati nelle zone più impervie, costituivano una fonte di ricchezza per le famiglie che li possedevano. Quindi per il contadino la terra era la cosa più cara e preziosa della loro vita infatti la curavano e vi si dedicavano a tempo pieno anche a prezzo di molti sacrifici (addirittura, se era necessario, sacrificavano per lavorarla anche i giorni festivi).

Il motivo, se ci riflettiamo su, è molto chiaro cioè pensare al proprio fabbisogno e a quello della loro famiglia. La terra alle nostre altitudini è risultata da sempre aspra e dura da lavorare però il caparbio contadino capracottese con tanti sacrifici ci riusciva lo stesso. Un pezzo di terra, a quei tempi, lo avevano tutti e poco importava che si trovasse vicino all’abitato o lontano anche chilometri e che purtroppo erano costretti, quasi sempre, a fare a piedi. Il contadino di una volta mangiava tutto l’anno quello che produceva nel suo orto o negli altri lembi di terra più distanti: seminava il grano per fare la farina, i legumi e gli ortaggi per preparare i propri pasti, allevava il gallo e le galline per fare i pulcini e mangiarne, soprattutto, sia la carne che le uova, allevava le pecore, capre e mucche per avere il latte, la lana e per fare ottimi formaggi,ecc… e di certo non mancava mai il maiale, animale prezioso sia perché mangiava di tutto e perciò considerato una sorta di “spazzino” e, soprattutto, da esso si ricavavano ottimi prodotti quali gli insaccati,ecc…

Nel vecchio mondo agricolo sono stati impiegati come unici mezzi di trasporto, diversi a seconda delle distanze, del territorio e dei carichi da trasportare, gli animali che, da sempre, hanno aiutato il contadino (cioè buoi, muli, asini e cavalli). L’addomesticamento degli animali da soma e da tiro e, successivamente, l’invenzione dei veicoli a ruote, i traini, agevolarono enormemente i trasporti ma, per molto tempo, il mulo (r’ciucc), più resistente del cavallo e più rapido dell’asino e dei buoi, fu il miglior aiutante del contadino perché adatto sia ai percorsi accidentati e ripidi (caratteristici del paesaggio capracottese), che alle lunghe distanze. I carichi leggeri si sistemavano direttamente sul dorso dell’animale ma spesso venivano messi sulla varda o ai lati dentro r’piunz o nelle retra fissate alla varda con delle funi. Inoltre per la lavorazione della terra gli attrezzi utilizzati erano assieme agli animali l’altro fondamentale aiuto alle braccia del contadino ed è doveroso sottolineare che ogni attrezzo veniva fatto e riparato dal contadino stesso nei mesi invernali quando, a causa della neve e del freddo, non gli era possibile recarsi nei campi.

Lavorare la terra era un lavoro faticoso che iniziava alla mattina molto presto e terminava la sera, mai prima che il sole fosse tramontato. I contadini di buon’ora s’incamminavano per raggiungere a piedi o con il mulo i campi lontani (a volte parecchi chilometri) portandosi dietro un sacco o una tovaglia nei quali era sistemato il pranzo e gli attrezzi del mestiere (zappe, vanghe, forche, ecc). Come prima cosa c’era da concimare i campi e per farlo il contadino utilizzava il letame delle proprie stalle e poi venivano seminati il grano, le patate, i legumi, gli ortaggi, ecc…

Il letame veniva caricato con una forca nei contenitori di legno (r’piunz) attaccati al lato della varda con delle funi o messe direttamente sui traini e quindi trasportati nei campi e, successivamente,sparso sugli stessi utilizzando nuovamente la forca. Già sul finire dell’estate si iniziavano a preparare i lembi di terra: prima il terreno veniva dissodato cioè veniva ripulito dalle grosse pietre, venivano bruciati i cespugli e gli arbusti estirpati e si sradicavano le erbacce infestanti. Poi si passava alla zappatura del terreno, precedentemente concimato, utilizzando la vanga e la zappa se il terreno era più tenero, il piccone nel caso in cui era più duro da lavorare. Oppure per chi possedeva degli animali, buoi soprattutto, veniva usato un rudimentale aratro di legno per dissodarli e, in questo caso, il contadino doveva tenere ben stretti i due bracci dell’aratro perché se il terreno era troppo duro l’aratro facilmente usciva fuori dal solco ed era costretto a ricominciare tutto daccapo. L’aratro veniva aggiogato ai buoi tramite il giogo, tagliava il terreno sia dall’alto verso il basso che orizzontalmente grazie ad una parte che lo costituiva chiamata “vomere” e contemporaneamente grazie al “versoio” altro suo componente, rivoltava la fetta di terra. Il lavoro eseguito dall’aratro veniva completato con l’erpice, un attrezzo costituito da un telaio snodato o rigido munito di lame che serviva a frantumare le zolle di terra per agevolare la semina.

Dopo l’aratura si procedeva con la semina che avveniva, tradizionalmente, attraverso il lancio dei semi che il contadino prendeva da un sacco che portava a tracolla. Questo tipo di semina era detto “a spaglio”: con un gesto ampio, rotatorio e orizzontale del braccio dall’esterno verso l’interno, con il pugno socchiuso e camminando con passo uniforme e regolare i contadini distribuivano i semi che cadevano sparpagliati. Un buon seminatore riusciva a fare una semina omogenea cioè evitava che si formavano mucchi di semi da una parte e pochi dall’altra. In seguito i semi venivano ricoperti passando sul terreno l’erpice e in alcuni casi per una maggiore rifinitura delle zolle più piccole si utilizzava la zappa. La semina veniva effettuata in autunno così permetteva ai semi di germogliare prima dell’inverno infatti con il freddo la pianta smetteva di crescere finché non tornava il caldo.

A primavera dopo lo scioglimento delle nevi, quando la campagna cominciava a rinverdire e si vedevano spuntare qua e là i primi germogli, iniziavano i primi lavori nei campi. Come prima cosa c’era da zappettare il grano e nei giorni piovosi tra le piantine di frumento i contadini gettavano i semi di erba medica o di trifoglio in modo da trasformare il campo in un prato di foraggio da utilizzare l’anno successivo. Finalmente tra la fine di maggio e gli inizi di giugno si raccoglieva il fieno, poi si mietevano le spighe di grano, ormai mature, e si trebbiavano.

Emilia Mendozzi