La Tavola “italiana” di Capracotta

«Il termine “osco” è un’invenzione dei Romani. Nei documenti e nelle iscrizioni dell’Antichità non mai è citata la nazione “osca” e, oltretutto, nell’alfabeto cosiddetto “osco” non esiste neppure la vocale “O”. Gli antichi abitanti del Molise invece chiamavano la propria nazione “Itelia”, diventato poi “Italia” in latino, e la loro capitale Campobasso “Italini”, la “Italiion” dello storico siceliota Diodoro Siculo. Perciò, la Tavola di Capracotta deve essere chiamata “italiana” e non “osca”».

Sono soltanto alcuni dei temi che lo studioso molisano Alberindo Grimani, direttore dell’Archivio “Emanuele Brunatto” e autore di numerosi volumi di storia regionale, sta approfondendo nel suo libro in preparazione “L’Italia antica. Territorio e lingua (Il Molise e la Lingua Italiana)”, tra cui l’interpretazione della celebre “Tavola Osca”: un’antica lamina in bronzo di carattere religioso, databile fra il III e il II sec. a.C., secondo l’interpretazione ufficiale rinvenuta nel 1848 a Fonte del Romito nel territorio di Capracotta ed esposta al British Museum di Londra.

«Nel V sec. a.C., i Romani, non conoscendo la lingua di “Itelia”/Italia, crearono la parola “Samnium” per indicare una nazione, quella dei Sanniti, con al centro il monte o colle Sannio, l’attuale Montebello di Campobasso- spiega Grimani-. Tra la fine dell’Era pagana e l’inizio dell’Era cristiana, Tito Livio coniò la parola “Pentri” per indicare i superstiti discendenti dal popolo “Italiano” distrutto dal loro genocidio: “Pentri” deriva dalla parola latina “penetratio” usata per indicare la violenza brutale su donne e schiavi. Infine, nel II sec. d.C., Festo coniò la parola “Osci” (da cui fu ipotizzata la lingua “osca”) utilizzando la parola romana “oscenus” per indicare le oscenità sessuali richieste a donne e ragazzi di origine “Italiana” mandati nei lupanari (postriboli) di Roma».

Nella ricostruzione di Grimani, la Tavola bronzea di Capracotta riveste un ruolo centrale perché, con le sue complessive 48 righe di iscrizioni sulle due facciate, rappresenta una vera e propria miniera di informazioni sul mondo degli antichi “Italiani”/Sanniti.

«La Tavola di Capracotta ci svela il nome sacro del santuario “Yrtini” di Aquilonia, la città dove fu combattuta l’ultima e decisiva battaglia tra Romani e Sanniti per il predominio della nostra Penisola nel 293 a.C.- aggiunge-. Non ci sono gli dei e semidei citati nelle altre ricostruzioni e non c’è neppure alcuna menzione di Italo, l’unica divinità riconosciuta dagli Italo-sanniti».