Notte su Monte Campo e suggestioni di Oriente

Passano gli anni e continuo a chiedermi perché si chiami Monte Campo la montagna di Capracotta.

Non so rispondermi forse perché, come la gran parte di noi, siamo abituati a vederla dal basso. Come una montagna la cui cima si raggiunge con un po’ di fatica. L’esatto contrario dell’immagine di un campo.

Perciò, per noi ragazzi poco avvezzi alla fatica fisica, era semplicemente un divertimento raggiungere la vetta. D’estate, poi, era una piccola avventura salire in comitiva di notte ad aspettare di vedere il sole sorgere dal mare.

Perché da Monte Campo si vede la costa adriatica. E, se non c’è foschia, si vedono anche le isole di Diomede.

Quando eravamo ragazzi non avevamo complicazioni intellettualoidi e la notte su Monte Campo era solo un’avventura da raccontare.

Con il tempo, però, cambiano i punti di vista e la memoria si arricchisce di considerazioni che da giovani non avremmo mai fatto.

Nel tempo siamo diventati tutti seguaci di Giordano Bruno. Soprattutto se il filosofo nolano ci ha fatto capire che l’universo, pure essendo unico, ha infiniti punti di osservazione.

Ognuno di noi ha un proprio punto di osservazione. Sincronicamente diverso da quello degli altri. Diacronicamente diverso dai punti di vista della nostra vita passata.

Insomma Giordano Bruno ci ha abituato ad avere rispetto per le idee degli altri e ci ha insegnato che, coerentemente, si può cambiare idea nel corso della vita.

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Spesso ritorno su Monte Campo, ma solo con la fantasia, cercando di immaginare cosa pensasse un sannita, non necessariamente pecoraio, che saliva su una cima che gli avrebbe permesso di guardare un po’ oltre il tratturo lungo il quale ciclicamente spostava le sue greggi.

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Oggi, come una volta, viviamo di memorie, ma siamo supportati da straordinari strumenti tecnologici che facilitano le visioni e ci rendono quasi banale la storia.

Tre o quattro secoli prima di Cristo era tutto più complicato e per sapere cosa ci fosse dopo il mare si doveva fare ricorso ai grandi miti. Oppure tentare di navigare per superarlo.

Da Monte Campo si dominano le cinte sannite vicine e lontane, ma si traguarda anche verso l’Oriente.

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Esiste un’antica via che da tempo immemorabile si chiama Egnazia e che fu famosa perché Paolo, l’apostolo delle genti, la percorse con le varie peregrinazioni nelle terre del bacino mediterraneo.

La cosa apparentemente singolare di questa via è che, pur sviluppandosi dal Corno d’Oro di Istanbul a Durazzo, dopo aver attraversato Salonicco e costeggiato il lago di Ocrid in Macedonia, aveva un nome che le derivava da una città situata in Italia, Egnatia, dove terminava la via Appia.

Prima ancora dei Romani, sul luogo di imbarco, giungeva una via sannitica che partiva dal Sannio, la regione degli Egnazi, banchieri sanniti in Asia Minore.

La via Egnatia è una delle più importanti ed antiche strade di collegamento tra l’Oriente e l’Occidente e rappresenta la naturale continuazione, oltre l’Adriatico, della via Appia. Prima di questa era la conclusione di un asse trasversale della penisola italiana che intercettava le vie naturali della transumanza che collegavano i pascoli estivi della dorsale appenninica con quelli invernali del Tavoliere.

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Gèllio Egnàzio (Gellius Egnatius) è stato un condottiero sannita del quarto secolo prima di Cristo.

Con il senno di poi piace immaginare che fosse un discendente di quegli Egnazi italici che, prima dei Romani, avevano avviato i commerci verso il cuore dell’Oriente.

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Dal porto di Egnatia, un po’ più su di Brindisi, per mare si raggiungeva Durazzo e la penisola balcanica. Fino a quei luoghi dove sarebbe nata Costantinopoli. Attraverso i monti Candavii arrivava a Lychnidus (odierna Ocrid) e Pylon, Heraclea (Monastir), Edessa e Tessalonica (Salonicco). Richiamato dal mito in quei luoghi ci sono stato e ogni tanto ci ritorno con la mente.

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Gellio Egnazio è passato alla storia perché cercò di riunire in una lega Sanniti, Etruschi, Umbri e Celti contro Roma.

Un’impresa che finì male a Sentino, città degli Umbri, nel 295 avanti Cristo, dove fu vinto e ucciso in battaglia.

I suoi discendenti, come è nell’ordine naturale delle cose, ebbero la cittadinanza romana e del sogno sannita rimase solo il ricordo.

Come quello che si rivive guardando l’Oriente da Monte Campo. Perché nelle notti d’estate su Monte Campo, se conosci la storia di cui fai parte, hai l’impressione di essere nel cuore del Bacino mediterraneo.

Franco Valente