“A la Mèrɘca”, storie dell’emigrazione capracottese nel Nuovo Mondo

Pubblichiamo l’introduzione del volume “A la Mèrɘca. Storie degli emigranti capracottesi nel Nuovo Mondo” del presidente dell’Associazione “Amici di Capracotta”, Domenico Di Nucci. Il libro sarà presentato mercoledì 6 settembre p.v. durante i lavori degli Stati Generali dei Capracottesi nel mondo organizzati dall’amministrazione comunale di Capracotta presso la sala convegni “Il Conte Max” a partire dalle ore 16.30. La pubblicazione, edita dall’Associazione “Amici di Capracotta” per l’anno 2017, consta di ben 256 pagine che contengono immagini e storie degli emigranti capracottesi nel Nuovo Mondo: Argentina, Brasile, Canada, Stati Uniti d’America e Venezuela. Al volume, è abbinato un dvd con le storie personali di alcuni emigranti capracottesi raccontate dagli stessi protagonisti o da loro parenti. L’Associazione “Amici di Capracotta” desidera ringraziare lo staff redazionale, i traduttori, gli autori, i collaboratori e i sostenitori per il grande impegno profuso nella realizzazione dell’opera.

Nessun emigrante decideva a cuor leggero di partire o di restare e già le storie legate alla partenza offrono un ampio ventaglio di situazioni che meritano di essere tramandate. Non tutte le richieste di visto per l’espatrio erano accettate e anche dopo il rilascio bastava un contrattempo o un’imprevista circostanza per modificare radicalmente la decisione di partire. Ad esempio mio padre Carmine Di Nucci (soprannominato Carmɘnónɘ), quando ricevette nel 1952 il visto per recarsi negli Stati Uniti sei mesi dopo il trasferimento in Agnone, non stette molto a pensare: «E mó m’avéssa fà nuarrɘ traslòchɘ!» (e adesso dovrei affrontare un altro trasloco!). Decise così di buttare nel fuoco tutto il malloppo ricevuto dal consolato americano. Enrico De Renzis (Mast’Errichɘ), dopo aver fatto firmare un vincolante atto notarile, all’ultimo momento decise di non partire più per gli Usa: lo fece anni dopo, nel 1926, ma per l’Argentina. Altre volte, la paura dell’ignoto aveva il sopravvento anche al momento dell’imbarco come successe a quel compaesano che, nel porto di Napoli, di fronte all’immensità del mare, ebbe a dire: «E chɘ é, ca mɘ ièttɘ déndrɘ a sɘ cutinɘ?» (e io dovrei buttarmi in questo grande lago?). Molti hanno attraversato il mare in cerca di fortuna. Alcuni si sono subito pentiti e hanno fatto di tutto per tornare, dopo qualche mese o qualche anno, non appena i risparmi coprivano il costo del viaggio di ritorno «ca mɘ vuógliɘ murì alla casa méia!» (perché preferisco morire a casa mia!). Altri non hanno avuto mai la possibilità di tornare. Altri hanno fatto più volte il tragitto.

Ma non tutti quelli che partivano, poi riuscivano a sbarcare sulle coste del Nuovo Mondo. La storia ci ha tramandato il ricordo di alcune navi che fecero naufragio: il piroscafo “Ortigia” speronò, il 24 novembre 1880 davanti alle coste argentine, il mercantile “Long Joseph” portando in fondo al mare 249 migranti; il vapore “Sudamerica” affondò nelle acque argentine nel gennaio 1888 e morirono in  80; il “Sirio”, un vapore partito da Genova verso il Sudamerica, il 4 agosto del 1906, centrò in pieno uno scoglio e colò a picco 16 giorni dopo con 292 morti; il “Principessa Mafalda”, affondò il 25 ottobre 1927 nelle acque brasiliane portando con sé i corpi dei 385 emigranti. Purtroppo, non è stato possibile accertare se vi fossero capracottesi tra quei morti per mancanza di documentazione. I dati personali dei viaggiatori, infatti, venivano registrati a bordo direttamente dal comandante della nave e consegnati da quest’ultimo alle autorità portuali per i controlli del caso soltanto prima dello sbarco. Conosciamo soltanto la drammatica esperienza del nostro compaesano Americo Sozio, sopravvissuto miracolosamente all’affondamento del transatlantico “Andrea Doria” nel 1956 grazie alla sua preziosa testimonianza diretta.

Questa pubblicazione ha richiesto un lungo e accurato lavoro di ricerca: un lavoro reso difficile dall’incompletezza di molti documenti ufficiali e dall’affievolimento del ricordo stesso delle vicende dei nostri emigranti d’Oltreoceano nei loro attuali discendenti per l’inevitabile distacco generazionale. Perciò, abbiamo preferito evitare di inserire liste con i nomi dei partenti perché sempre potenzialmente lacunose e abbiamo voluto, invece, raccontare le storie di vita, a nostro avviso, maggiormente esemplificative dei capracottesi protagonisti di quel vasto fenomeno migratorio che coinvolse l’Italia principalmente tra gli ultimi decenni del XIX e la seconda metà del XX secolo: dalla partenza da Capracotta all’arrivo sul suolo americano, dalle loro vicende personali al ritorno in patria.

Ognuno con i suoi sogni, i suoi problemi, la voglia di superare difficoltà a volte inimmaginabili, la nostalgia e la speranza del ritorno a casa. Chi non è tornato ha portato nel Nuovo Mondo un poco di “capracottesità”; chi è tornato, ha riportato a Capracotta un bagaglio non solo economico ma di idee, esperienze vissute, organizzazione del lavoro e arricchimento culturale che hanno permeato la nostra comunità.

La valigia di cartone rinforzata con un robusto spago è diventata il simbolo dell’emigrazione e, oltre alle poche cose indispensabili, era colma di sogni e di speranze. Le storie di alcuni emigranti raccontate nel dvd allegato, qualcuna in prima persona, altre dai figli e dai nipoti, sono parte integrante della pubblicazione e ci riportano indietro nel tempo: le violette raccolte alla “Guardata” prima di tornare negli Usa da Giuseppe Di Vito per portarle in dono, anche se avvizzite, alla moglie Lucia sono la testimonianza d’amore e dedizione al pari della targa di bronzo che, all’interno della Statua della Libertà a New York, riporta i versi  della poetessa americana Emma Lazarus, scritti nel 1883: «Datemi le vostre stanche, povere, affollate masse che bramano di respirare la libertà, il miserabile rifiuto della vostra affollata terra, mandate a me i senza tetto, gli afflitti, innalzo la mia luce vicino alla porta d’oro».

Domenico Di Nucci

Presidente Associazione “Amici di Capracotta”