Ceciarièglie e pezzélle

Nei giorni di festa e di fiera un caramellaio si fermava  per il corso. Su una bancarella improvvisata armeggiava con un fornelletto e riempiva l’aria con l’odore dolce dello zucchero caramellato. Confezionava con maestria piccole caramelle di vario colore e con brillanti striature, che poi vendeva calde e saporite. Spesso una nuvola di vocianti ragazzi era lì ad osservarlo mentre dosava e miscelava ingredienti che poi fusi davano dolci sensazioni.

A casa  cercavamo di imitare il caramellaio e preparavamo la croccanda, scaldando in una ciotola zucchero e mandorle fino a quando l’impasto fuso non assumeva un bel  colore marrone; il tutto poi veniva raffreddato su una lastra di marmo. La squisita croccanda metteva  a dura prova i denti.

Aspettavo con piacere che finisse il pane perché spesso un poco di pasta lievitata, riportata a casa dal forno, si trasformava in tante frittelle che calde calde  venivano spolverate di zucchero e golosamente divorate!

A carnevale, in ogni famiglia giungeva il momento del dolce capracottese più tipico: re ceciariéglie. Tante uova venivano impastate con poca farina e la pasta ottenuta dopo una breve lavorazione veniva  arrotolata e tagliata a pezzettini che venivano fritti nella ssogna (sugna) e raramente in olio d’oliva: come d’incanto i pezzettini sfrigolanti a contatto con il calore  immediatamente si gonfiavano trasformandosi in tante palline che, dorate appena appena, venivano tolte e messe in un recipiente; un’abbondante razione di miele caldo completava il tutto; re ceciariéglie erano talmente buoni che erano sempre pochi. Mia madre (Erminia Di Tanna) era l’addetta  alla loro preparazione  e sembrava una macchinetta quando  in un batter d’occhio  impastava, arrotolava, tagliava e friggeva.

In un’occasione del tutto particolare contribuì a stemperare un poco la tristezza ed il dolore che pervadeva tutta la famiglia:per noi era un carnevale di lutto  perché era morto da pochi giorni a Lanciano  Zio Pietro, fratello di Nonna Filomena.Tutta la famiglia era in casa alla Fundione, mancava solo nonna e l’atmosfera era tetra e cupa. “Ermì, fa dù ceciariéglie” (Erminia, e fai due ceciarièglie!!!), non ricordo bene chi lanciò l’idea a mia madre se fu mio padre o Papànonno, fatto sta che mia madre non se lo fece ripetere due volte: in un batter d’occhio  ne  preparò una montagna .

Anche le pezzélle una volta all’anno facevano la loro apparizione sulla tavola all’avvicinarsi del Natale. A base di uova, farina, zucchero, finocchietto e buccia d’arancia, venivano cotte con il tipico ferro a due piastre incise a rombi e scaldate sui carboni ardenti.

L’origine di questo tipico dolce si perde nella notte dei tempi. Infatti nel 1559 Peter Brugel il Vecchio nel quadro “Lotta tra Carnevale e Quaresima” raffigurò una donna che cuoceva le pezzélle utilizzando un ferro uguale a quello attualmente usato. Su un tavolo raffigurò anche le pezzélle rettangolari con lo stesso colore ambrato…

La "Lotta tra Carnevale e Quaresima" di Bruegel: particolare
La “Lotta tra Carnevale e Quaresima”: particolare

Quando si avvicinava il Natale compravamo anche modesti torroncini alla nocciola che venivano appesi all’albero. A Pasqua quasi sempre mio padre si recava al forno di Pasqualino Di Tella a San Giovanni  per lavorare per ore farina e uova e preparare lo squisito,vaporoso e morbido pan di Spagna. Sempre a Pasqua ai bambini venivano regalate ciambelle di biscotto mentre per le ragazzine c’erano dolci bambole chiamate pupattèlle (piccole bambole ).

Domenico Di Nucci