Chɘ m’accundɘ? All’uórtǝ dǝ rǝ cumbarǝ zǝ cuógliǝnǝ lǝ mégliǝ fóglia

La prima di copertina del volume "Chɘ m’accundɘ? Lemmi e motti della parlata di Capracotta", edito dall'Associazione "Amici di Capracotta" nel mese di dicembre dell'anno 2016
La prima di copertina del volume "Chɘ m’accundɘ? Lemmi e motti della parlata di Capracotta", edito dall'Associazione "Amici di Capracotta" nel mese di dicembre dell'anno 2016
La prima di copertina del volume “Chɘ m’accundɘ? Lemmi e motti della parlata di Capracotta”, edito dall’Associazione “Amici di Capracotta” nel mese di dicembre dell’anno 2016

Farsi a cumbare, cumbà sono i modi di dire del nostro dialetto che indicano momenti della vita estremamente importanti che da sempre hanno caratterizzato i rapporti sociali e umani della nostra comunità.

La “cumbarizia” rappresentava un allargamento familiare; infatti le famiglie dei compari diventavano tutt’uno; al compare ci si rivolgeva per aiuto e per consiglio avendo la certezza di trovare sempre disponibilità; i compari partecipavano attivamente a tutto quanto in bene o in male ruotava intorno alle proprie famiglie; mentre con i parenti i rapporti potevano guastarsi, era inaudito che ciò accadesse tra i compari. Era un legame che durava tutta la vita ed anche per qualche generazione a seguire; nelle grandi feste tra le due famiglie avvenivano anche scambi di doni.

Battesimo, cresima, matrimonio erano le tappe scandite dalla cumbarizia.
Il compare di battesimo o San Giuiannɘ, in riferimento a San Giovanni Battista, veniva scelto dalla famiglia del neonato tra la cerchia degli amici fidati o del padre o della madre e il designato non poteva rifiutare tale onore; diventava il padrino (dal latino cumpater, insieme al padre) e il battezzato suo figlioccio.
Il compare era testimone al battesimo e portava in  regalo una catenina d’oro.
Altra tappa era la cresima e la scelta del compare era a cura del cresimando che riceveva in regalo un orologio da polso.
Il matrimonio costituiva poi un altro momento importante con la scelta del compare di nozze o d’anello; i testimoni di nozze, scelti dalla coppia, normalmente portavano in dono le fedi nuziali.
La cumbarizia anche oggi, in linea con la tradizione, è rimasta una tappa importante nella vita di ognuno di noi ed è ancora citato il motto all’uórtɘ dɘ rɘ cumbarɘ zɘ cuógliɘnɘ lɘ mégliɘ fóglia cioè “nell’orto del compare si raccolgono i migliori cavoli”: il compare è sempre pronto ad aiutarti e così pure la …comare!
Come accennato in un manoscritto inedito del nostro compaesano Giangregorio Giuliano, a proposito del motto sopra citato, sembra che in casi sopradici i rapporti tra compari sconfinassero in ambiti boccacceschi! Prima di raccontare è bene precisare che episodi del genere sono da considerare solo come infedeltà coniugali che comunque avvenivano e avvengono e non come abitudini e consuetudini di Capracotta.
Orbene tanti anni fa una giovane coppia si trovò ad affrontare una critica situazione con una gravidanza che da subito cominciò a dare problemi; poi al momento del parto ancora difficoltà e alla fine tutto si risolse per il meglio. Il nascituro sopravvisse e la giovane donna anche se debilitata iniziò con piacere il difficile mestiere di mamma. La giovane donna, pur essendo molto gelosa del marito, con il passare del tempo avvertiva un crescente nervosismo del marito costretto ad un’astinenza forzata.
Si convinse che alla fine occorreva porre rimedio alla situazione e superando coraggiosamente la sua gelosia, un giorno ne parlò con il marito e lo convinse a recarsi in un paese vicino dove c’erano donne che esercitavano il mestiere più antico del mondo.
Il mattino seguente il giovane indossò il vestito, ricevette dieci lire dalla moglie che portava la contabilità familiare e uscì di casa in anticipo sull’orario della partenza della corriera. Strada facendo incontrò la comare e più o meno questa fu la loro conversazione.

“Cumbà addò vià accuscì arcagniatɘ?” (Compare dove vai così ben vestito?)

 “Aia ì a … e  ʃctiénghɘ iènnɘ a pɘglià la corriéra”. (Devo andare a …e sto andando alla fermata della corriera”)

“E ndɘ sié abbɘiatɘ nɘ pò tròppɘ priéʃctɘ?  (E non sei troppo in anticipo?)

“E scì… ma sià cèrtɘ vòldɘ è mègliɘ andɘcɘpà…” (Hai ragione, ma certe volte è meglio essere in anticipo…)

“ Mé, éndra ca tɘ pigliɘ quaccósa , ca tié tuttɘ rɘ tiémbɘ chɘ vuó!” (Dai, entra così prendi qualcosa perché hai tutto il tempo che vuoi!)

E così entrarono a casa della comare e si sedettero in cucina; la comare dopo aver offerto un bicchiere di vino chiese notizie sulla salute della neo mamma.

“Cummà, lɘ sià ch’émɘ passatɘ nɘ bruttɘ quartɘ d’óra; mógliɘmɘ zɘ  ʃcta armɘttènnɘ chianɘ chianɘ, ma angóra nɘ nvà com’avéssa ì, sò cósɘ chɘ vianɘ alla lónga”. (“Commare mia, lo sai bene che abbiamo passato un brutto quarto d’ora, mia moglie si sta riprendendo piano piano, ma ancora non va come dovrebbe andare, sono cose che vanno alla lunga)

“E cumbà, ciɘ vò la paciénza, chɘ vuó fà! Ma dimmɘ, chira ì a fà a …” (E comprare mio, ci vuole pazienza, che vuoi farci! Ma dimmi cosa devi andare a fare a …)

“Cummà ndɘ lɘ pòzzɘ diciɘ, sò cósɘ dɘlɘchiatɘ”. (Commare, non te lo posso dire, mi vergogno, sono cose delicate)

“E cumbà, mó pròpriɘ nɘ nvà buónɘ, chɘ è chɘ nɘ mɘ puó diciɘ…mɘ sié sèmbre dittɘ tuttɘ…” (E compare, adesso proprio non va bene, cos’è che non mi puoi dire… mi hai sempre detto tutto…)

“E va buó, mó tɘ lɘ dichɘ e zittɘ… m’aia ì nɘ pòchɘ a sfugà, sià, da quanda z’è fɘgliata…” (E va bene, adesso te lo dico .. devo andare un poco a sfogarmi, sai, da quando mia moglie ha partorito…)

“E vuò ì finɘ a…, tuttɘ sɘ faʃctidiɘ, sóttɘ e sópra, a pèrdɘ tiémbɘ; cumbà  ʃctiénghɘ ì ècchɘ, allóra chɘ sémɘ a fa cumbiarɘ, sɘ nzɘ la démɘ na mianɘ nu quanda sèrvɘ?” (E vuoi andare fino a…, con tanto fastidio, sotto e sopra, a perdere tempo; compare mio sto io qua, allora per quale motivo siamo compari se non ci diamo una mano quando serve?)

“Ma… e re cumbarɘ?” (Ma…e il compare?)

 “Nɘ giɘ  ʃctà, arvé addumanɘ dòmmèsiuórnɘ”. (Non c’è, ritorna domani pomeriggio)

“ E sɘ lɘ v’è a sapé ?” (E se lo viene a sapere?)

“ Viasù… ma quanda ʃctòriɘ vià truannɘ … siéndɘ a mé,  ndɘ prèòccupà ca va tuttɘ buónɘ”. (Suvvia…quante storie vai trovando… fai come ti dico, non ti preoccupare che va tutto bene)

E così il compare si lasciò convincere;  le residue remore furono spazzate via  non solo dalla lunga astinenza ma anche dalla bellezza e dalla disponibilità della comare.

Stanco ed appagato rientrò a casa e non si rese conto che aveva anticipato l’orario del ritorno della corriera. La moglie gliene chiese conto e il marito non potendo mentire le raccontò che aveva incontrato la comare. La moglie volle sapere tutto per filo e per segno e alla fine gli chiese che ne avesse fatto delle dieci lire.

“L’haiɘ datɘ alla cummarɘ”. (Le ho date alla comare.)

“Ah, l’sié datɘ alla cummarɘ!…Vì chɘ bèlla faccia! … Quanda mɘnèva rɘ cumbarɘ  da mé, nɘ r’haiɘ fattɘ  mià paà! Ar’armɘnì rɘ cumbarɘ!” (Le  hai date alla comare!… ma guarda che bella faccia tosta!…Quando veniva il compare da me non l’ho fatto mai pagare! Quando tornerà il compare mi vendicherò…!)
……………….

E così da quel giorno si innescò un diabolico gioco delle parti:
-la puerpera, stizzita per quello che riteneva uno sfruttamento bello e buono del compare che avrebbe dovuto avvertire la moglie … dell’aiuto ricevuto, pur di fargli un dispetto, spesso comandò al marito, che in apparenza faceva il recalcitrante, “mó vià a truà la cummarɘ e zittɘ!” (giusto adesso vai a trovare la comare e ubbidisci!);
-la comare, seppe dal compare la reazione della giovane moglie e non gradì che il marito l’avesse tenuta all’oscuro;  ci restò tanto male da decidere di alleviare a lungo le pene del giovane e bravo compare; quando ne aveva voglia appagava la sua vendetta stendendo i panni lavati in un certo modo avvisandolo così che il marito era lontano per lavoro;
-il marito, quarto incomodo, non seppe mai perché non potette più cogliere “lɘ mégliɘ fóglia all’uórtɘ dɘ la cummarɘ!” 

Motto tratto dal volume “Chɘ m’accundɘ? Lemmi e motti della parlata di Capracotta”, edito dall’Associazione “Amici di Capracotta”, con libera elaborazione di Domenico Di Nucci.