I Capracottesi e i pericoli del Gargano. Il furto di bestiame a Giampietro di Manuelacchia

Qualche anno dopo la fine della prima guerra mondiale, un capracottese, Giampietro Di Nucci (detto di “Manuelacchia), proprietario ed allevatore, coadiuvato dai giovani figli Francesco (Ciccio) e Nicola (Cola), di un gran numero di bovini, durante l’invernata in Puglia subì il furto di 15 giovani mucche che pascolavano ad alcuni chilometri dalla masseria di famiglia sita in località “San Nazario”, in territorio di San Nicandro Garganico. Nonostante egli, profondo conoscitore del territorio, avesse la certezza che a commettere il fatto erano stati malavitosi di San Nicandro Garganico, paese ancora oggi tristemente famoso per furti di bestiame e cruenti fatti di sangue, molte volte rimasti impuniti, Giampietro si mise alla ricerca delle sue mucche addentrandosi da solo nel Gargano e nella foresta Umbra, affrontando il rischio di non tornare sano e salvo a casa. Tutto fu inutile. Trascorso del tempo, quando oramai aveva perduto ogni speranza di potere recuperare le sue bestie, ricevette una lettera anonima nella quale veniva informato che le sue mucche si trovavano in uno sperduto luogo del territorio di San Nicandro Garganico, occultate all’interno di una grande mandria di mucche e vitelli, ma che, essendo quel posto privo di fontane e sorgenti, ad una certa ora del giorno, l’intera mandria era costretta a scendere più a valle, diretta all’unico abbeveratoio più vicino. L’anonimo informatore – forse conoscendo l’indole di Giampietro, uomo che non temeva alcuno – gli raccomandò di non andare lui personalmente nel luogo indicatogli, come anche lo sconsigliò vivamente di rivolgersi ai Carabinieri di San Nicandro. Il capracottese, dapprima deciso ad affrontare qualsiasi pericolo pur di riprendersi le sue bestie, alla fine desistette, visto anche che non poteva neanche chiedere aiuto ai Carabinieri del luogo. Intanto trascorse del tempo e un giorno, trovatosi ad Apricena per affari, passò davanti alla caserma dei Regi Carabinieri. Bussò, si presentò e chiese di potere conferire con il comandante della stazione, al quale raccontò del grave furto subìto e dello scritto anonimo ricevuto, chiedendogli di intervenire. Si guardò bene, però, temendo di urtare la suscettibilità del Carabiniere, di rivelare la circostanza raccomandandogli di non rivolgersi ai militi della caserma di San Nicandro Garganico. Il maresciallo ascoltò l’allevatore capracottese, ma gli fece presente che lui non avrebbe potuto disporre un intervento di ordine pubblico in agro di San Nicandro Garganico, cioè in un territorio non appartenente alla competenza di Apricena. Vane furono le suppliche mosse da Giampietro, perché il carabiniere fu irremovibile. A quel punto Giampietro fu costretto a mostrare la lettera anonima, tanto che il maresciallo, dopo averla letta, dispose immediatamente che i suoi uomini quello stesso giorno, all’ora del tramonto indicata nella lettera anonima, si sarebbero appostati, ben nascosti tra gli alberi, nei pressi dell’abbeveratoio indicato, in attesa che la mandria scendesse dalla montagna garganica. Giampietro fu autorizzato ad andare con i carabinieri perché solo lui avrebbe potuto riconoscere, tra tutte le mucche, quelle di sua proprietà. Giunti molto in anticipo sul luogo, si nascosero a debita distanza ed attesero pazientemente. Giampietro temeva che potesse trattarsi di una falsa pista, ma intanto si era lì e bisognava affrontare ogni evento. All’ora precisa indicata dall’anonimo informatore si incominciarono ad avvertire, sempre più vicini e chiassosi, i muggiti ed i campanacci; poi apparvero le mucche, le quali si avvicinarono in ordine all’abbeveratoio. Giampietro fu preso dallo sconforto perché la mandria era composta da centinaia tra mucche e vitelli. Inoltre, alla guida delle bestie vi era un uomo a cavallo, con a tracolla un fucile e l’immancabile accetta di cui si intravedeva il luccichio della lama fuoriuscire all’angolo tra il braccio e l’avambraccio piegati, con l’impugnatura di legno che dall’incastro della lama scendeva, in aderenza al busto, fino alla gamba destra dell’uomo. I carabinieri guardarono Giampietro incitandolo ad individuare le sue bestie, semmai fossero in mezzo a tutte le altre, ma non immaginavano quello che di imprevedibile e grandioso sarebbe accaduto di lì a pochi secondi. Giampietro, incurante del pericolo, uscì dalla macchia e a voce alta chiamò per nome ciascuna delle mucche rubategli: «Rosabellaaaa… Rusinellaaaa… Angelarosaaaa… Belfioreeee… Romildaaaa… Biancofioreeee», e così via. Dopo ogni chiamata del nome il capracottese emise il suo inconfondibile fischio. Magicamente dalla immensa mandria di bovini incominciarono a staccarsi immediatamente, una alla volta, ciascuna delle mucche rubategli e si diressero lentamente ed ordinatamente verso il loro padrone accerchiandolo. Intanto il vaccaro pugliese che aveva condotto le bestie, in un primo luogo intenzionato ad affrontare quello spericolato uomo, visti anche i Carabinieri spronò il cavallo e fuggì via. Il coraggioso capracottese, soddisfatto e felice, ringraziò i militi e, senza alcuna paura, nonostante fosse giunta notte, dovette, alla guida delle sue bestie, affrontare a piedi il non breve e nemmeno sicuro tragitto verso la masseria in località “ San Nazario”. Non possiamo immaginare cosa sarebbe accaduto se, in quell’occasione Giampietro, che passava per uomo molto intelligente, scaltro e temibile, si fosse recato da solo in quel triste e pericoloso luogo. Di sicuro, pur di riprendersi le sue bestie sarebbe stato capace anche di affrontare, lui da solo, il vaccaro pugliese.

Serafino Trotta

P.S. Il fatto appena scritto mi è stato raccontato da Giampietro Di Nucci, figlio di Francesco (Ciccio) e nipote diretto del nostro coraggioso personaggio, il quale mi ha fornito anche un documento, tutto scritto di pugno da Giampietro di “Manuelacchia”, sul quale egli trascriveva le notizie più importanti della sua azienda, compresi i nominativi dei bovini di sua proprietà, con l’anno di nascita di ciascuno.