Il giorno della partenza. Un racconto di Vernalda Di Tanna

Vernalda Di Tanna

Vernalda Di Tanna è nata a Vasto nel 1997. E’ la figlia di Nicola Di Tanna e nipote di Ernani Di Tanna e Vernalda Fiadino, di cui porta il nome. Vive e lavora a San Salvo. Si è laureata nei giorni scorsi in Lettere Moderne presso l’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti. Coltiva da tempo una profonda passione per la poesia ottenendo riconoscimenti da più parti. All’età di soli 15 anni vede la pubblicazione della sua prima silloge poetica dal titolo “Poesia: le nostre vite in versi…” (Linea Grafica editrice, 2013). Il suo racconto intitolato “Il giorno della partenza” è stato pubblicato nella raccolta “Racconti dall’Abruzzo e dal Molise” (Historica edizioni, 2017). Nel 2017, è tra i vincitori del contest “Scrivi come sei. Poetry Life Together” indetto da Terranova. Ha collaborato con Alessandro Quasimodo (figlio del Premio Nobel per la Letteratura Salvatore Quasimodo) al progetto promosso dalla Rivista Orizzonti, “Alessandro Quasimodo legge I Poeti Italiani Contemporanei. Vol. 1” (Aletti Editore, 2018). Recensisce libri di poesia su «Laboratori Poesia» e «Redazione Idee». Suoi testi sono apparsi sulla rivista «clanDestino».

Di quel giorno ho memoria di soli particolari.

Incastrato tra le lenzuola di un giaciglio esile riposava un odore disordinato, come di sogni.

Fuori il sole se ne stava raggomitolato in un buco scavato nel cielo, tutt’intorno raggi rappresi.

Il ragazzino che addentava la sua succosa fetta d’anguria mi vide e iniziò a scagliare zolle di terra contro la finestra.

Era ora di scendere e uscire con lui, il ragazzino tutt’occhi smeraldo e capelli biondo cenere.

Meriggiare e mangiare anguria, il suo spuntino preferito; correre nei campi, contarsi i capelli, incipriarsi di sorrisi, acchiapparsi, aggrovigliarsi, azzuffarsi, lacrimare dal ridere.

Eravamo nel solìngo dei vasti terreni erbosi, a parlarci, a sporcarci la bocca di sogni.

Percorrevamo sempre la solita via sterrata, con gli arpeggi stonati delle cavallette gonfi nelle orecchie.

E prima di tornare gli scrutavo la faccia scura e gli occhi meri, come tutte le altre volte.

Un abbraccio e un arrivederci difficili da scambiarsi.

Il giorno dei particolari, il giorno della partenza.

E come sempre le stelle amarono accamparsi nell’àcme della notte, inchiavellàrsi nel cielo.

Tutti ricordi di un dì che pare uno scrigno d’amore dimenticato.

Sembra che siano passati secoli, anni, mesi, giorni, ore, attimi, minuti, secondi dal giorno della mia partenza.

E torno lì da lui, per poi andare via.

Forse.

Su di lui si poteva contare, sempre.

Perchè lui era il vento sorpreso a scompigliare le nuvole in cielo, era  le carezze che mi brulicavano sulla pelle.

Dannatissime le conche d’anima scavate sul suo viso mi mancavano da morirne disidradata.

Che poi lo avevano indovinato gli oracoli che noi eravamo le lenzuola, i campi, le strade e le stelle di quel giorno lontano.

E poi eravamo anche quelle cavallette, la loro musica, i loro concerti no-profit.

Siamo stati come dialèfe di versi liberi, metafore incomplete, verbi proibiti, parole occulte in fondo ai libri.

Immersa nuovamente nel letto dove una volta c’era quel profondo groviglio di dolcezza; ora i sentimenti sono un urlo congestionato esploso sul muro della distanza.

Lui è quà fuori, assorto a disorientare il fumo.

Il sole riempie d’afa ogni briciola d’aria.

Sputa la sigaretta a terra, la camicia sbottonata sul petto.

Busso alla finestra.

Alza lo sguardo verso di me, e il sole non esita a percorrere l’altrove delle sue iridi.

E ci sembra che dovrà essere così per sempre.

Vernalda Di Tanna