I discepoli di “papà Janɘ” ed altri “mastri”

Antica Bottega D’Andrea. Anno 1920. Da Destra: Primiano D’Andrea, Diodato Angelaccio, Del Castello ? (emigrato in America), Vincenzo D’Andrea, Paolo D’Andrea, Oreste D’Andrea. (Foto D’Andrea).

Al tempo della scuola elementare non era la rumorosa e vistosa sveglia, che ogni famiglia aveva in bella vista sulla mensola del camino, ad avvisarci che era ora di alzarsi per andare a scuola.

Nella buona stagione era il corno di Vincenzo Santilli (Vɘncɘnzinɘ r’ Craparɘ) che avvertiva del suo passaggio, per prendere in custodia le capre da portare al pascolo.

Per tutto il resto dell’anno, nella nostra via Falconi, era il rumore della sega a nastro della falegnameria D’Andrea, dal timbro alto e sonoro, a sollecitare noi ragazzi a sollevare la testa dal cuscino prima che arrivasse il richiamo dei genitori.

L’inverno, quando c’era la bufera, quel rumore diventava però quasi un suono musicale, una cantilena, un invito a restare a letto; secondo la direzione e la forza del vento infatti, spariva a tratti per poi tornare più forte ed insistente di prima.

Famiglia di falegnami da generazioni; Primiano (papà Janɘ) 1848, il “vecchio capo mastro”, aveva sposato Consiglia Giuliano. Dopo la prima figlia, Angelarosa (mamma Joscia) 1877, erano arrivati una serie di maschi: Vincenzo 1880, Giuseppe 1883, Nicola 1886, Domenico 1891, Antonino 1894, Oreste 1899.

Domenico morì giovanissimo mentre Giuseppe emigrò negli Stati Uniti; gli altri, tranne Antonino che decise di fare il muratore, rimasero accanto al bancone del padre.

Abitavano tutti nel caseggiato D’Andrea, sotto via Falconi e vicino a S. Rocco, a cento metri dalla bottega, tranne Nicola (z’ Culittɘ) che per indole ed estro creativo scelse di mettere bottega da solo e mai, credo, volle apprendisti nel suo piccolo regno, contrariamente ai fratelli Vincenzo (papà Ciénzɘ) ed Oreste (cumbà Orestɘ).

C’erano con loro i nipoti Diodato Angelaccio (Diadatɘ) 1900, figlio della sorella Angelarosa, e Paolo D’Andrea 1907, figlio della cugina Antonietta (mamma Letta) e di Pasquale.

Paolo si trasferì giovanissimo a Roma, nel 1927, e divenne poi con il figlio Giovanni uno dei più rinomati maestri falegnami della Capitale. Diodato invece lasciò Capracotta nel 1960, portando con sé tutto il bagaglio della perizia artigianale della tradizione familiare.

 I falegnami di allora erano per lo più “generalisti”; grazie alle loro capacità manuali, particolarmente sviluppate, ed all’inventiva personale, erano in grado infatti di operare in un vasto ambito: da quello strutturale (solai, scale, porte, finestre), all’arredamento (tavoli, sedie, credenze per la cucina e mobilio per la camera da letto), alla manutenzione ed alle riparazioni.

L’atmosfera nella bottega era sempre vivace; si discorreva di attualità, dalla cronaca locale alle notizie che arrivavano dalla radio; non mancava chi faceva sfoggio della sua bella voce per intonare una canzone in voga e chi si divertiva a prendere in giro magari uno degli apprendisti ultimi arrivati. Quando però qualche lavoro non era stato eseguito a regola d’arte allora l’atmosfera d’improvviso mutava; gli strilli del capomastro sovrastavano ogni cosa e si diffondevano nel vicinato, con grande scorno del malcapitato responsabile al quale non si lesinava nemmeno qualche scapaccione.

Restarono dunque a Capracotta Vincenzo ed Oreste. Il primo, capo bottega, uomo di mondo, sensibile alla bellezza, carattere tranquillo e pacato, non molto alto, ben piazzato, volto rotondetto ed atteggiato al sorriso, sempre pronto alla battuta scherzosa; lo vedo ancora col camice da lavoro sopra al ginocchio, di cotone pesante color cammello, a passo lento e cadenzato, percorrere il breve tratto di strada che lo separava dalla bottega.

La domenica poi, dismesso il camice ed indossato il vestito della festa, presente in chiesa a “cantare l’Ufficio” con i Confratelli della Congregazione del Monte dei Morti, disposti in due gruppi contrapposti, separati nella stagione invernale da bracieri di carbone ardente che mitigavano il freddo sotto la grande navata.   

Oreste e Diodato,  maestri falegnami, sempre attenti alle vicende sociali e politiche dell’epoca, amici inseparabili di mio padre Cicciotto, facevano parte del gruppo dei “primi socialisti” immortalati in una bella foto dell’epoca (circa 1921) con tanto di falce, martello e libro.

Non pochi quelli della stessa famiglia D’Andrea che hanno continuato poi la tradizione:

Gino (figlio di papà Ciénzɘ) 1924, di statura più alta del padre, carattere meno loquace; Renato 1927 e Corrado 1929 (figli di Oreste), loquaci ed al pari del padre affascinati dalla politica, sempre informati sulle notizie del giorno e pronti commentare e fare rimostranze contro tasse e balzelli imposti dal Governo; Mario 1933 (figlio di Antonino), appassionato discesista, sempre attento invece ad evitare il severo controllo del padre (z’ Nduninɘ) che non approvava la passione sportiva del figlio.

Anno 1955: In piedi da sinistra: Corrado, Gino e Renato D’Andrea, Vincenzo Di Tella, Mario D’Andrea; Domenico Di Nucci, Antonio Sammarone, Renato Di Rienzo. Seduti da sinistra: Germano Giuliano, Oreste e Vincenzo D’Andrea, Diodato Angelaccio. Seduti a terra da sinistra: Natalino Di Rienzo, Vincenzo Di Tella, Peppino ed Ermanno D’Andrea. (Foto D’Andrea)

Noi bambini contribuivamo con i nostri giochi e le frequenti baruffe alla vita del quartiere;  ed eravamo di casa in quelle botteghe, sempre in cerca di pezzi di legno, scarto della lavorazione, di cui ci servivamo per costruzioni di ogni genere e nelle quali mettevamo tutto l’impegno e la creatività favorita, all’epoca, dalle ristrettezze economiche e dall’assenza di negozi di giocattoli. Spesso venivamo sgridati ma era più per finta; mostrare troppa condiscendenza e bonarietà nei confronti dei bambini, a quei tempi, poteva sembrare debolezza; mai infatti siamo stati scacciati.

Tanti furono i “ragazzi”, apprendisti prima ed artigiani rifiniti poi, usciti dalla bottega D’Andrea: Rubens Del Castello (Rubbellɘ), Giovanni Paglione (Pɘzzuca, numero uno nello sci di discesa dell’epoca), Cesidio Falcone (Sgamminɘ), Mario Paglione (Cɘnzɘttone), Guglielmo Casciero, Germano Giuliano, Domenico Celano, Antonio Carnevale (Cucaronɘ), Domenico Di Nucci (Mɘnguccɘ), Antonio Carnevale (r’ mupɘ), Domenico De Simone; Vincenzo Di Tella (Cɘnzittɘ), Antonio Di Nucci (Pascalittɘ), Angelo- Carmine- Costantino- Lucio- Natalino e Renato Di Rienzo (dɘ Totta), Antonio Sammarone  (Dannatɘ) spericolato discesista, proveniente dalla Bottega di Vincenzo Sammarone ed emigrato poi in Svizzera, Diodato e Antonio Paglione (Barracca), Carmine Paglione.

Dopo la morte di papà Cienzɘ ci fu poi una “filiazione” di nuove botteghe D’Andrea: Gino costituì col cognato Sebastiano Sammarone (Fɘnocchiɘ) ed Ernesto Ciccorelli (Cɘnquɘcientɘ) una Società a parte, restando nella vecchia bottega paterna:  Oreste invece la costituì con i figli Renato e Corrado, nella bottega di fianco a quella originaria, nel locale della contigua famiglia Trotta-Venditti; Mario infine, al pari dello zio Colitto, si organizzò da solo, sotto la nuova abitazione paterna, sempre vicino a S. Rocco, dove un tempo c’era la  stalla delle mucche di Giuseppe Paglione (zio Peppino).

Le nuove botteghe, per via della loro vicinanza, quando accendevano i motori delle moderne “circolari”, più potenti e veloci delle vecchie seghe a nastro, sembravano rincorrersi, fino a comporre una specie di concerto che si vivacizzava, a tratti, quando una di esse, per necessità di lavorazione, incrementava il numero dei giri; quanta vita nel quartiere!

La stessa che si percepiva nel resto del paese dove altre botteghe di falegnameria animavano le strade ed i quartieri ed il cui ricordo è ancora vivo nella nostra memoria:  

– Sebastiano Angelaccio (Cianuccɘ) con i figli Emilio, Santino ed Alfredo, trasferiti poi a Roma sia in proprio che presso la nota falegnameria Malafronte;

– Francesco Di Tanna (Cicciottɘ r’ uardaboschɘ) ed il nipote Giovannino; trasferiti poi a Roma.

– Giacomo D’Andrea ed il figlio Pasquale (Giacubbellɘ); quest’ultimo approdato poi nella bottega del  cugino Paolo a Roma.

– Giulio e Giacomo Carnevale (Ziotta), dalla cui bottega sono usciti: Aldo D’Onofrio (Baldaccɘ), Elio Cacchione, Giuseppe Paglione (Peppino tɘdeschɘ), Franco Dell’Armi, Giacomino Liberatore (la Cɘntrella), Carmine Di Lullo (dɘ Quattruocchiɘ), Pietro Di Luozzo (dɘ Nɘnnozza), Luigi Di Tella (dɘ Rascia), Mario Carnevale (Cotalunghɘ), Vincenzo Giuliano (Bɘnonɘ).

– Sebastiano Evangelista (Cian Ming lung) ed i figli Alfredo,  Astolfo, Giuseppe (Papeppɘ), Vincenzo (Vɘncɘnzonɘ) ed i nipoti Benuccio (figlio di Alfredo), Fernando (figlio di Astolfo), Umberto (Umbertonɘ) figlio di Giuseppe;  dalla bottega di Alfredo e Benuccio provengono: Emilio Carugno (Cucavaglia), Carmine di Tanna (Balmamion), Mario Fiadino, Mario Paglione (de Adelɘ)  trasferitosi poi a Pescara.

– Carmine Paglione (Giovedì) con i figli Antonino e Gabriele, dalla cui bottega sono usciti: Antonino Santilli (Tɘnarɘ), Mario Sozio (Magnapatanɘ).

– Vincenzo Sammarone (Cɘnzittɘ la furnara) ha insegnato il mestiere ad una serie di altri artigiani tra cui: Remo Iacovone (Pusctiérɘ) andato da Malafronte a Roma e poi in proprio con un socio, Ernesto Ciccorelli (Cɘnquɘciéntɘ), Filippo e Angelo Di Lullo (Furchittɘ),  Michele Venditti (Quambɘsantarɘ), Vincenzo Sammarone (Culetta), Emilio Di Rienzo (Passarella), Luigi Di Tella (Rascia), Sebastiano Fantozzi, Davide Paglione (Cicchɘtiégliɘ), Giangregorio Battista (Marabella), Michele Di Nucci (Cacciunella).

– Da Gino, Ernesto e Sebastiano provengono: Giovanni Angelaccio (Gelsuminɘ), Michele Beniamino (Ngocazɘ), Franco Carnevale (Sfɘrruccɘ), Sebastiano Carnevale, Antonio Ciolfi, Giovanni e Luciano Di Luozzo, Carmelo Paglione, Antonio Sammarone (Brick), Carmine Santilli (Tɘnarɘ), Antonino Sozio (Totomme);

– Da Mario D’Andrea: Antonio Carnevale (Sfɘrruccɘ), Antonio Di Ianni, Vincenzo Vizzoca (La vuoria).

Una parte dei falegnami usciti dalla tradizione capracottese hanno poi esercitato e concluso la loro carriera di eccellenti artigiani nella Capitale, contribuendo al buon nome della nostra comunità; oltre ai già citati Paolo e Giovanni D’Andrea ricordiamo tra gli altri: Mario Ciccorelli (Chianuozze), Mario e Vincenzo Del Castello (de Grazia), Remo Iacovone, Nicolino Di Rienzo (Papparone); nel campo dell’arredamento Vincenzo Di Tella ed Emilio Di Rienzo.

La falegnameria D’Andrea, ancora attiva a Capracotta, è attualmente diretta dall’ultimo dei figli di Oreste, Peppino, mio coetaneo, amico d’infanzia e di scuola nonché figlio della mia madrina di battesimo commare Pulcheria. Collaborano con lui i nipoti Oreste (figlio di Renato) e Luciano (figlio di Corrado).

La tradizione artigiana della falegnameria capracottese, ormai numericamente ridotta, è ancora viva grazie anche ad altre botteghe: Sebastiano Carnevale (Sferrucce), Costantino Di Rienzo ed il figlio Walter, Antonio Sammarone (Brik) erede di Sebastiano.

Nella strada vicino a S. Rocco ormai, eccetto il solitario rumore della falegnameria di Costantino, non si odono più i “concerti” di una volta, i consueti rumori di vita quotidiana, né tantomeno le gioiose grida dei bambini; c’è solo il silenzio e la tristezza delle facciate delle case segnate dalle imposte chiuse, come usava un tempo in caso di lutto.

Vincenzino Di Nardo