Tonitto e la passione per… il PCI

Maria e Tonitto

Mio padre Tonitto, nato da capracottesi emigrati, come tanti, dal Molise in Argentina, nacque a Loberia, cittadina della provincia di Buenos Aires e, poco più che ventenne, tornò in Italia con l’intenzione di trascorrervi un breve periodo. Ma a Capracotta conobbe Maria, mia madre, e a Capracotta rimase fino alla fine. Qui da noi conobbe anche i disastri della guerra, perse la casa ed ogni cosa, si affannò a ricostruire una vita difficile per sé e la sua famiglia e − incontro fondamentale − conobbe il PCI restandogli sempre fedele pur con pochi compagni continuamente alle prese − in un ambiente politicamente avverso come poteva essere il Molise di quegli anni − con gli ostacoli e le vere e proprie vessazioni che la sua scelta politica gli procurò. Ne parlo in un breve scritto sulla mia famiglia (A proposito della famiglia ‘La Caccia’ − e del vero significato del soprannome ‘La Caccia’), che i miei nipoti mi hanno pregato di lasciare loro.  Da lì vorrei riportare qui qualche rigo nell’occasione del 101° anniversario della nascita di quello che fu il mio, il nostro Partito.

Papà Tonitto era ancora giovane quando tornò a Capracotta dall’Argentina.

Usava indossare pantaloni di fustagno o di velluto a coste, camicie a quadri da ‘ranchero’ (secondo gli usi argentini) e il mantello a ruota tipico dei paesi del nostro meridione. Non l’ho mai visto con una coppola. Camminava dritto, baldanzoso e fiero.

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Poi, come ho già detto, ci fu la guerra, la perdita dei preziosissimi cavalli che servivano a trasportare la legna non solo a Capracotta ma anche oltre (e consentivano una discreta entrata economica per la famiglia), la distruzione del paese da parte dei nazisti, le persecuzioni degli uomini da parte dei fascisti, la sua fuga per raggiungere i partigiani (in verità, non parlò mai dei dettagli di questa sua avventura), mentre la sua famiglia fu ‘sfollata’ in Puglia. Quando fu alla macchia conobbe molti uomini che condividevano con lui le storie delle ingiustizie subite, delle violenze dei fascisti e dei nazisti, di un mondo nuovo che, dopo una Rivoluzione, i comunisti stavano costruendo lontano dall’Italia e che si poteva provare a costruire anche qui da noi. Di tutto questo ci parlò con un entusiasmo che non gli avevamo mai conosciuto quando finalmente, finita la guerra, tornò a casa.

Tonitto, insomma, aveva cominciato a guardare il mondo con occhi diversi, con  un’attenzione nuova verso i più deboli e una speranza grande nel cuore. Fu eletto un sindaco democristiano acerrimo avversario di papà (ormai iscritto e militante del PCI) che, con arroganza, gestiva una delle due farmacie senza averne titoli e diritto. Questo sindaco lo accusò di essere stato, dopo un comizio, incappucciato e malmenato.

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Papa’ fu arrestato ma presto prosciolto e liberato, perché l’accusa che fosse stato lui l’autore dell’aggressione non poté essere provata. Ma la persecuzione era appena cominciata. Dopo un po’, la sezione del PCI fu fatta chiudere (non ne conosco esattamente la causa, ma ricordo le vessazioni e le forzature politiche e amministrative delle quali papà si lamentava in continuazione).

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Ho già detto che papà cominciò ad avere crescenti difficoltà nel trovare lavoro e che fu allora che, disperato, propose a mamma di tornare insieme in Argentina. E ho già  ricordato che Maria si oppose. Non se ne fece niente e papà si adattò a fare tutti i lavoretti sui quali riusciva a mettere le mani, soprattutto fuori dal paese, dove non lo conoscevano. Tonitto, comunque, non si arrese mai. Era rimasto senza la sua sezione comunista, ma aggirò l’ostacolo e − sempre sotto continua ‘vigilanza’, beninteso − si iscrisse alla Cgil e, poi, allo Spi–Cgil, il sindacato dei pensionati. Così continuò ad essere attivo anche politicamente: l’annuale ‘Festa del tesseramento’ al partito si faceva a casa nostra, con i dirigenti del partito e del sindacato. Ma era attivo anche come dirigente dei pensionati: andava spesso a Campobasso e a Isernia per dare una mano a sbrigare le pratiche (e con la speranza che qualcuno mantenesse poi la promessa di votare PCI!). Spesso questo non avveniva, naturalmente, e lui si arrabbiava molto. Ma non smise mai di rendersi utile.

Come liberato dal condizionamento dei lavori pubblici negatigli, continuò dunque − anche senza più la sezione − a fare propaganda (e con accresciuta energia!) per il Partito comunista. Quando andò in pensione, fondò la cooperativa alimentare che vendeva i prodotti a prezzi bassi (certo il vino, secondo molti, non ne avrebbe meritato uno maggiore, ma lui ne era fiero perché, come diceva, “andava alla grande” ). Poi fondò e fu presidente della Società operaia, in contrapposizione con quella, più ricca, degli artigiani. Si andava a giocare a carte e a fare due chiacchiere, ma lui si battè per l’acquisto di un televisore che l’altra società già aveva. La differenza democratica ci fu: tutti i giovedì le porte si aprivano ai ragazzi che potevano vedere ‘Rin Tin Tin’ e ‘Lassie’. Ormai era diventato un uomo tranquillo, con i figli sistemati. Si dava anima e corpo al suo partito, perché crescesse. Ma rimasero sempre in pochi anziani, a dire il vero: fu sorprendente per me scoprire che anche mamma, di fatto, faceva parte di quella ‘cellula’. Infatti, quando papà era fuori, lei accoglieva quel piccolo gruppo a casa nostra, sempre di sera tardi, come carbonari. Pur essendo, in tutto, quattro gatti, non mancava la dialettica interna: papà, ad esempio, non aveva in simpatia il nominato ‘Togliatti’ di Capracotta perché ascoltava Radio Tirana ed era uno stalinista. E, poi, Tonitto si faceva gran vanto di avere l’abbonamento all’Unità che io gli avevo procurato.

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Papà era rimasto sempre collegato ai comunisti della sua regione e, ogni volta che cera una manifestazione importante, veniva a Roma. In una di queste occasioni ci demmo appuntamento all’angolo tra via Merulana e piazza San Giovanni. Io vedevo passare tante persone, ma di papà non c’era traccia. E stavo in ansia, vista la sua età ormai avanzata. All’improvviso intravidi uno striscione un po’ sgangherato con su scritto MOLISE, e due uomini che quasi litigavano. Lo riconobbi per la sua altezza e perché intuii che litigava con un vecchietto più basso. Lo accusava perché lo striscione era sbilenco a causa della scarsa altezza del poveretto! Un po’ scherzava e un po’ faceva sul serio, perché davvero non sopportava di partecipare al corteo con uno striscione tutto storto. Un atteggiamento tipico di papà! A vederlo tanto sudato e serio, provai una emozione così forte che mi misi a piangere. Smisi di frignare per non allarmarlo e lui, orgoglioso ma un po’ triste, mi comunicò che non se la sentiva più di sottoporsi a quelle fatiche: viaggi lunghi e logoranti, paese paese, per raccogliere un po’ di compagni. E poi era ormai avanti con gli anni, e si stancava presto, aggiunse. Quella sarebbe stata l’ultima volta, concluse solenne. Mi venne ancora da piangere, pensando a quanto gli costasse invecchiare e doverlo dire. Ma, soprattutto, pensai che gli costava tanto, troppo, l’idea di dover rinunciare a una parte così importante e attiva delle sue passioni. 

Ci abbracciammo e io non seppi trattenere le lacrime. Ricordo il suo sguardo, prima interrogativo e poi più sereno, grazie a un abbozzo di sorriso consolatorio. Aveva capito, penso.

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Pina Monaco