Ciǝ vò la zéngara p’adduvǝnià la vǝntura

Papanónnǝ e zǝ Ustinǝ dǝ Pacigliǝ (Nonno Domenico e Agostino Di Lullo) abitavano con le loro famiglie in due case contigue alla Fonte Giù. Amici e per giunta compari, erano buoni vicini di casa e quando le due famiglie andavano a produrre i carboni insieme sceglievano, se era possibile, particelle di bosco confinanti. Spesso il pomeriggio si sedevano davanti casa e chiacchieravano. Nonno Domenico aveva una propensione a fare scherzi di ogni genere e approfittò, in una giornata di festa, che ci fossero zingare che giravano per Capracotta per leggere la mano e predire la sorte, per mettere in atto un diabolico scherzo.

Contattò una di esse, le chiese se voleva guadagnarsi qualcosa e se era disposta a scendere alla Fonte Giù ad una certa ora per fare uno scherzo ad un amico.

La zingara accettò ben volentieri e mio nonno le raccontò sia cose della sua famiglia sia quelle che nessuno sapeva della famiglia del compare Agostino.

Tornò a casa e all’ora concordata scese la zingara mentre erano seduti davanti casa mio nonno, Agostino, Errico e Nicola Matteo, altri vicini di casa.

La zingara si avvicinò al gruppetto e propose loro di leggere la mano.

Subito mio nonno le disse che non credeva affatto che fosse capace di sapere tante cose leggendo la mano. Di contro la zingara lo sfidò apertamente e gli propose di pagarlo solo dopo che avesse letto la sua mano e fosse rimasto soddisfatto.

Con atto di sfida mio nonno allungò la mano e «fammǝ vǝdé chǝ sià fa!» (fammi vedere cosa sai fare!).

E la zingara: «Se mi dici come te chiami io sono capace di dirti tutto quello che vuoi sapere».

«Mi chiamo Domenico Di Nucci». La zingara dopo aver accuratamente osservato la mano cominciò la sua recita: «Vedo nella tua mano che avevi un padre grande come un gigante, che sei rimasto figlio unico, che durante la prima guerra mondiale hai passato i guai, che hai otto figli» e via dicendo, ripetendo benissimo tutto quello che mio nonno le aveva anticipato.

Al che mio nonno le disse che era un’imbrogliona; che aveva voluto sapere il nome perché sicuramente qualcuno in paese, sapendo che lui non credeva minimamente che fosse possibile leggere la mano, le aveva detto tutte quelle cose sulla sua persona e sulla sua famiglia. E sfidò di nuovo la zingara: «Fammi vedere adesso se sei capace di leggere la mano di uno dei presenti che scelgo io», e indicò l’amico Agostino.

Anche se con un poco di ritrosia zǝ Ustinǝ allungò la mano e la zingara cominciò sciorinando tutto quello che nonno le aveva detto e mano mano che procedeva aumentava sia la sorpresa dei presenti; dopo che spifferò alcuni piccoli segreti, zǝ Ustinǝ ritirò la mano esclamò «è pròpria lǝ vérǝ ca ciǝ vò la zéngara p’adduvǝnià la vǝntura!» (è proprio vero che ci vuole la zingara per indovinare la ventura!).

Nonno consegnò alla zingara quanto pattuito e si guardò bene dal rivelare all’amico che gli aveva fatto un simile scherzo! 

Domenico Di Nucci

Fonte: D. Di Nucci, E mó vè maiiǝ auannǝ!, Amici di Capracotta,