Il patriota risorgimentale Spagnoletti a Capracotta

La Chiesa Madre e Monte Campo. Foto: Andrea Vitali

Lo storico, giornalista e politico italiano Raffaele de Cesare (Spinazzola 1845 – Roma 1918) racconta nel suo saggio storico sulla fine del Regno delle Due Sicilie, “La fine di un Regno”, che il patriota risorgimentale pugliese Riccardo Ottavio Spagnoletti (1829-1892) si rifugiò a Capracotta per sfuggire alle indagini della polizia borbonica contro i componenti delle organizzazioni “sovversive” della “Giovine Italia” e dei “Liberali Progressisti”, avviate nel 1856 con la complicità dell’autorità giudiziaria e divenute sempre più stringenti nel 1859 in vista del viaggio del sovrano Ferdinando II nelle Puglie per ricevere la nuora Maria Sofia di Baviera a Bari.

Riccardo Ottavio Spagnoletti, definito dal de Cesare «giovane poeta e ghibellino ardente, bell’uomo, dalla lunga capigliatura e barba fluente da alemanno», dunque, venne a nascondersi a Capracotta, «paesello alpestre del Molise e culla della famiglia Falconi».

Riccardo Ottavio Spagnoletti

Vi si accedeva, in quel tempo, «a dorso di mulo» e fu ospitato nella casa del canonico Policarpo Conti, imparentato con i Falconi. Lo Spagnoletti colse l’occasione per comporre un dramma in tre atti: “I Sanniti e i Saraceni”, che fu anche rappresentato nella nostra cittadina.

L’azione si svolgeva nell’anno 883 sui monti del Sannio. La parte di Sepina, la bella sannita, era rappresentata da una gentile signorina locale e quella del protagonista maschile, Tamas il Saraceno, dallo stesso Spagnoletti.

«Egli accennò con tanto calore e con tale passione alle vive speranze italiche; e le parole escirono così calde dalle sue labbra, che non pochi applausi e fiori lo investirono sulla scena», scrive il de Cesare.

Eppure, proprio questo clamoroso successo lo spinse ad andare via. Andò dapprima peregrinando per la Basilicata e poté rientrare in Andria soltanto dopo la morte del re Ferdinando II di Borbone (22 maggio 1859) dedicandosi anima e corpo nell’attività rivoluzionaria.

Tuttavia, non dimenticò mai l’ospitalità ricevuta a Capracotta, «dove tutti fecero a gara nel rendergli men duro l’esilio».

Bibliografia:

R. de Cesare, La fine di un Regno, Lapi, Città di Castello, 1895