Piccole storie di lupi… a Capracotta

Lupo appenninico. Foto: Valentino Mastrella (PNALM)

Mi è capitato in questi giorni di riprendere in mano, per rileggerlo, un romanzo pubblicato nel 2021 dal famoso atleta di sci nordico Fulvio Valbusa che avevo avuto occasione di incontrare, ormai tanti anni fa; infatti, oltre alle tante competizioni internazionali in cui aveva brillato, a Capracotta era stato protagonista nei campionati nazionali del 1997, conquistando l’oro nella gara di fondo a inseguimento sui 15 chilometri.

E mi ha colpito una frase inserita nella prefazione del suo libro intitolato “Randagio” che giudico assai vicina alla mia personalità e alla mia storia: sebbene non mi possa certo considerare uno “sportivo” e, ancor meno, un “forestale” come lui.

“C’è una cosa, l’unica che non è mai cambiata nella mia vita, il sapore della neve…

   …Il sapore della neve, quello, è l’unica cosa certa della mia vita”

Rammentavo che buona parte di quel volume è dedicata alla storia di due di lupi reintrodotti, a suo tempo, nella regione della Lessinia e, neanche a farlo apposta, recentemente è comparsa nel sito “Amici di Capracotta”, la foto di una coppia di questi animali scattata sulla strada innevata che conduce a Prato Gentile, nel magnifico sfondo del nostro Monte Capraro.

Così, nel consueto turbinìo di ricordi che ormai mi caratterizza, è stata grande la mia emozione e ho condiviso in pieno il commento di quell’inserto:

“Questi maestosi animali fanno parte del patrimonio naturale del nostro territorio e la loro presenza è il risultato di un ecosistema equilibrato e ricco di biodiversità…”.

È stato quindi immediato che riaffiorassero nella mia mente, come riuscendo a riattualizzarli, i miei due eccezionali incontri con un lupo: a cominciare dal primo, già in parte narrato, che si verificò quando ero ancora molto piccolo; accadde una sera in cui a Capracotta imperversava una grossa tormenta di neve e la nonna Guglielma non esitò a svegliarmi tenendomi avvolto in una coperta affinché, dai vetri della finestra, potessi godermi lo spettacolo di uno splendido esemplare di lupo che, attirato dalla presenza di alcune pecore in una stalla vicina, si era spinto fin sotto la nostra casa. E fu provvidenziale che, nel buio, mi fosse di grande aiuto una potente torcia elettrica, assai moderna per quei tempi, appena ricevuta in dono dallo zio Nando che risiedeva negli Stati Uniti; si trattò certamente di un’occasione davvero unica e incredibile cui mi piace dedicare le stesse parole di Valbusa:

  “Nessuna vittoria, nessuna medaglia è paragonabile all’intensità di un incontro con un lupo”.

Trascorsero poi diversi anni prima della seconda, altrettanto emozionante esperienza a Capracotta, in pieno giorno e d’estate lungo il sentiero che dalla Chiesetta di San Luca scende nel bosco verso Pescopennataro; ero in compagnia di parenti arrivati dall’Emilia-Romagna quando improvvisamente, a pochi metri di distanza, comparve uno splendido esemplare di lupo e la mia impressione fu che lo avessimo davvero infastidito. Ciò nonostante, emettendo un sordo brontolio, si girò invertendo la direzione di marcia e ciò mi consentì di osservare il caratteristico profilo della testa e della coda: per poi scomparire tornando indietro lentamente; peccato che, purtroppo, allora non avessi modo alcuno di immortalare quella scena e comunque di quella presenza ebbi la testimonianza di alcune guardie forestali che lo avevano incontrato nella stessa zona e nella stessa fascia di orario.

Superfluo sottolineare il potere immaginifico del primo incontro nella mente di un bimbo com’ero io allora: letteralmente affascinato dalle storie o, meglio, dalle tante favole sui lupi; ho anche cercato di rileggerne qualcuna, ma è davvero troppo vasta la letteratura su questo argomento. Riassumo perciò solo quella che correla questi animali alla luna nel senso che il loro ululato notturno è stato spesso considerato rivolto al suo splendore nel cielo; nulla di più falso, naturalmente, ma la leggenda vuole che tanto tempo fa fosse visibile solo uno spicchio di luna la cui scarsa luce non consentiva una notte, a questi animali che ululavano, di ritrovare un lupacchiotto disperso in montagna. La luna perciò li volle aiutare e si rigonfiò fino ad assumere stabilmente la forma di sfera luminosa che conosciamo e di cui abbiamo svelato tanti, forse troppi segreti; aggiungo pure, solo per curiosità, che il prossimo plenilunio, previsto il 13 gennaio., viene chiamato “La luna del Lupo” e tale denominazione deriva dall’antica tradizione indigena americana che la metteva in relazione, appunto, con l’ululato di questi animali.

Di nuovo attingendo, poi, al bagaglio dei miei ricordi, ce n’è uno relativo al periodo in cui mi dedicavo con giovanile entusiasmo alla pratica sportiva della caccia che mi vedeva spesso in compagnia di vecchi cacciatori capracottesi, veri conoscitori di tutti i tradizionali luoghi di appostamento per la lepre. Così una volta percorrevo il sentiero che conduce a monte Campo insieme ad Alfredo, classico personaggio del nostro paese soprannominato “Caporale” che, nonostante la sua grossa mole corporea, non smetteva un attimo di chiacchierare; quel pomeriggio fece scherzosamente finta di preoccuparsi che tra le mie cartucce ne avessi qualcuna “a palla”, teoricamente adatta per colpire un lupo; mi raccontò infatti, sorridendo, che in diverse occasioni del passato remoto, proprio restando immobile in un appostamento, se lo era visto comparire in modo imprevedibile: senza che fosse mai stato costretto a sparare.

A tale proposito mi piace citare un celebre fotografo naturalista, Paolo Rossi di origine ligure, che racconta di sentirsi onorato del singolare appellativo di “luparo”: che anticamente, come molti sanno, spettava a quelli che, dopo aver abbattuto un lupo, ne portavano in giro per i paesi la carcassa, affidandosi alla riconoscenza e alla generosità degli allevatori; per la cronaca, o forse purtroppo, nel passato remoto questa tradizione non risparmiava neppure il territorio di Capracotta.  Mi risulta anzi che in diversi paesi dell’Abruzzo fosse persino la stessa amministrazione municipale a istituire una taglia sui lupi: di cui dava notizia, con la sua tromba, il banditore comunale.

In una intervista recente, Paolo Rossi scriveva:

“Mai successo che un lupo si sia mostrato aggressivo, al

massimo un po’ curioso, se non sentiva il mio odore”;

   di nuovo traendola, poi, dal libro di Valbusa, mi è piaciuta moltissimo una sua esortazione a proposito dell’ancestrale quanto immotivata paura dei lupi:

   “Non dovete avere paura dei lupi, dovete piuttosto stare attenti alle pecore, che si confondono in mezzo al gregge e si adattano, per convenienza o per opportunismo”:

essa mi pare infatti contenere un monito esemplare a rifuggire dal conformismo e dalla perniciosa tendenza a seguire i comportamenti di massa: fenomeno che, a giudizio di molti, negli ultimi anni è divenuto anche pericoloso con la complicità dei cosiddetti “social”.

Così, nuovamente congratulandomi per lo splendido documento fotografico di qualche giorno fa, sono anch’io convinto che nessuna regione d’Italia esprima così bene il rapporto tra uomini, lupi e orsi come l’Abruzzo e il Molise: in cui queste tre specie non hanno mai smesso di coesistere; perciò, proprio come suggerisce l’articolo citato a riguardo dei… magnifici lupi di Capracotta, è il caso di ripetere:

apprezziamo la loro bellezza e il loro ruolo nell’ambiente imparando a rispettare la natura e a convivere armoniosamente con essa”.

E, concludendo, mi fa piacere ricorrere a una massima che sono certo contenga un’altra, molto saggia riflessione:

“Abbiamo condannato il lupo non per quello che è, ma per quello che abbiamo deliberatamente ed erroneamente percepito che fosse -l’immagine mitizzata di uno spietato assassino selvaggio-. che, in realtà, non è altro che l’immagine riflessa di noi stessi” (Farley Mowat).

Aldo Trotta

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