Il Giubileo 2025: 730 anni dalla Perdonanza di papa Celestino V

Sono convinto che sia la mia fascia di età, ormai così avanzata, a suggerirmi i più diversi spunti di riflessione, ma è certamente l’inconsueta disponibilità di tempo libero a concedermeli; del resto non è casuale, cosa di cui non mi vergogno, che la vecchiaia ci sottoponga molti interrogativi sul significato dell’esistenza e sulla stessa vita eterna.

Sta di fatto che, poche settimane or sono, mi ha particolarmente colpito l’inaugurazione, da parte di papa Francesco, del Giubileo 2025 che nella Chiesa cattolica è l’anno della remissione dei peccati, della riconciliazione, della conversione e della penitenza sacramentale; ma da dove deriva la parola Giubileo?  Qual è il suo significato storico e sociale?

Come riportato dall’Enciclopedia Treccani, essa prende origine dall’ebraico yobel”, che richiama il corno del “capro”, cioè lo strumento col quale veniva annunziato l’inizio dell’anno giubilare, celebrato inizialmente ogni cinquant’anni, mentre ogni sette ricorreva l’anno sabbatico, durante il quale si lasciava riposare la terra:  

  “Conterai pure sette settimane di anni, sette volte sette, cioè quarantanove anni; […] santificherai l’anno cinquantesimo, e annunzierai la remissione a tutti gli abitanti del paese” (Levitico,25).

Tornando alla celebrazione religiosa che dicevo, la scorsa vigilia di Natale, mi hanno molto colpito le immagini televisive con papa Francesco che raggiungeva la Porta Santa nella basilica di San Pietro sospinto sulla sedia a rotelle; e il mio primo pensiero è istintivamente andato al famoso sonetto di Francesco Petrarca intitolato “Movesi il vecchierel”:  

Movesi il vecchierel canuto e bianco…

…e viene a Roma, seguendo ‘l desio,

per mirar la sembianza di colui

ch’ancor lassù nel ciel vedere spera …”.

Come è noto, c’era la tradizione antica di recarsi in pellegrinaggio a Roma per venerare la “reliquia del sacro Velo” e la leggenda vuole che fosse stata una donna di nome Veronica a incontrare Gesù che portava la croce sul Calvario per asciugargli il volto con un panno su cui rimase impressa la sua immagine. Ora so bene che quel brano, anche storicamente lontano dal Giubileo, celebrava un amore terreno del poeta, ma ho avuto la netta impressione che  le sue parole fossero rivolte anche a me: non perché, grazie a Dio, mi consideri prossimo alla fine, ma semplicemente come un “vecchierel ”che, nell’ultimo periodo della sua vita, si affida in modo particolare alla misericordia di Dio; è stato grande e immediato, infatti, il desiderio di attraversare la Porta Santa secondo le  prescrizioni canoniche del Giubileo: cosa che mi auguro di fare al più presto e nel miglior modo possibile.

Sono sincero se aggiungo di considerarmi un po’ irriverente nei confronti di papa Francesco che pure ha soltanto pochi anni più di me; è comunque innegabile che la vecchiaia comporti una progressiva, ingravescente fragilità, per cui sono drammatiche e al tempo stesso consolanti le parole di San Paolo nella lettera ai “Filippesi” (1-10):

     “Mi compiaccio delle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.

In definitiva, non credo proprio che si possa dubitare della fortezza di papa Francesco nonostante le sue evidenti, umanissime difficoltà; è stato tuttavia inevitabile che il mio pensiero corresse a un altro Pontefice cui, certamente a torto, è stata attribuita la grave debolezza di aver rinunciato al suo ministero apostolico:

«vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto».

(Dante Alighieri – Divina Commedia – Inferno canto 3°)

Si tratta di Celestino V°, Pier da Morrone, cui mi lega la comune origine dal Molise e le cui spoglie mortali riposano nella basilica di santa Maria di Collemaggio, all’Aquila, città in cui ho lavorato per tanti anni; fu certamente sua l’idea dell’indulgenza plenaria, che istituì nel 1294 con una Bolla intitolata “Inter sanctorum solemnia” (nota anche come Bolla del Perdono). Ho avuto modo, così, di riflettere a lungo sulla figura e sull’esempio di quell’umile eremita e mi sono convinto che il suo successore Bonifacio VIII°, naturalmente senza alcun giudizio nei suoi confronti, si sia limitato a rendere universale il Giubileo fissandone la cadenza temporale; è provato d’altro canto che, fin dal papato di Innocenzo III° nel 1200, ci fossero state molte petizioni che ne sollecitavano il ripristino, ma è anche verosimile che, ad inoltrarle, fossero state le tante persone cui era giunta eco della “Perdonanza Celestiniana”.

Avviandomi ora alla conclusione, mi sono rammentato del mio ultimo, breve soggiorno a Capracotta perché, del tutto casualmente, mi sono fermato a osservare un magnifico bassorilievo scolpito nella roccia da Antonio Di Campli; esso raffigura il santo Papa Celestino V° che saluta, quasi abbracciandolo idealmente, papa Francesco (foto in alto, ndr) ed ho avuto la straordinaria impressione che tra i due Pontefici non fossero trascorsi ben 700 anni.  

Così, considerando questo lunghissimo periodo, sarebbe molto bello se potessimo dire che, nel 2025, gli uomini del nostro tempo hanno minore necessità di ravvedersi e di essere perdonati: ma non è, purtroppo, così e lo sappiamo bene.

Aldo Trotta