«Andò, sci lassatə du cavatiéllə a ru uàttə?»

Antonio era in una bottega di sarto come apprendista; come tanti suoi coetanei dopo la quinta elementare era stato, per forza di cose, costretto a scegliere un mestiere. La trafila era sempre la stessa, ammesso che si trovava qualche mastro che fosse disposto ad accettare il ragazzo come apprendista nella propria bottega.

Il mastro logicamente era il padre-padrone, gestiva il lavoro e non corrispondeva né stipendio né versava contributi agli apprendisti, anzi quasi sempre a Natale e a Pasqua la famiglia dell’apprendista mandava al mastro ru prəsèndə (il regalo).

Antonio una sera fu costretto a restare in bottega fino a tarda ora perché il giorno dopo il mastro doveva consegnare per forza un vestito; tornò a casa affamato; la madre era già a letto ed aveva lasciato sul tavolo un piatto di gnocchi da riscaldare.

Mangiò avidamente la cena e avvertendo qualche rumore, la madre si svegliò e dal letto gli chiese: «Andó, sci lassatə du cavatiéllə arru uàttə?» (Hai lasciato un poco degli gnocchi per il gatto?).

«Addó sctà ru uàttə? Ca mə magnə purə à issə!» (Dove sta il gatto? Perché mangio pure lui!).

Domenico Di Nucci

Fonte: E.C. Delli Quadri e D. Di Nucci, Ru fra, chess’è, 2021