Di Nucci: i figli di Nuccio, san Sebastiano e la Controriforma a Capracotta

La famiglia del pastore Carmine di Nuccio nel Catasto Onciario del 1743

Secondo le regole generali della cognomastica italiana, il cognome “Di Nucci” è un patronimico e significa “i figli di Nuccio”. La preposizione “Di” indica una discendenza. Nuccio è, invece, un ipocoristico aferetico, cioè un raccorciamento (ipocoristico) per eliminazione di suoni all’inizio di una parola (aferesi), di un nome personale maschile. È difficile capire quale sia in maniera univoca. Il cognome non è originario di Capracotta. “Di Nucci” non compare nella lista tramandataci da Luigi Campanelli nel suo volume “Il territorio di Capracotta” del 1931 relativamente alle Numerazioni dei fuochi (cioè gli elenchi della famiglie per fini fiscali) del 1561 e del 1641. Appare per la prima volta in un documento pubblico, una Numerazione dei fuochi, soltanto nel 1732 nella forma originaria: Di Nuccio. Il “capostipite” del ceppo capracottese è sicuramente immigrato nella nostra cittadina nella prima metà del Seicento visto che Giovambattista Di Nuccio è, secondo fonti parrocchiali, il primo capracottese ad ammalarsi e morire di peste nel 1656. Ma non sappiamo da dove.
Quindi, l’ipocoristico “Nuccio” potrebbe derivare da qualsiasi nome in voga in quel periodo nel mondo cristiano che costruisce il vezzeggiativo con questo suffisso. E sono tanti: Adriano, Berardino, Cristanziano, Damiano, Fabiano, Gioacchino, Leone, Savino, Stefano, Valentino, Valeriano, ecc.

La Madonna del Carmine, sant’Antonio e san Sebastiano

Nonostante tutto, però, qualche ipotesi possiamo avanzarla analizzando il culto di santi e delle madonne venerati nei Comuni dove il cognome Di Nucci/ Di Nuccio registra, oggigiorno, una consistente diffusione. Si tratta di un’area geografica corrispondente al Basso Lazio, alla provincia di Caserta, al Molise e all’Abruzzo. Ed è già un primo dato significativo perché, proprio all’interno di questa fascia territoriale, il Molise ha svolto per secoli un importante ruolo di filtro culturale: la nostra regione, se da un lato, è stata legata da sempre all’Abruzzo e alla Puglia per via della transumanza, dall’altra è stata aggregata amministrativamente per oltre tre secoli, dal 1221 al 1538, al Basso Lazio e al Casertano nel Giustizierato di Terra di Lavoro.
Ebbene, da questa indagine, emergono due elementi fondamentali: la diffusa presenza del culto della Madonna del Carmine e, in secondo luogo, una discreta distribuzione dei culti di sant’Antonio da Padova e di sant’Antonio Abate. È interessante notare come, in ciascuno dei tre casi, il nome personale prevede la costruzione del vezzeggiativo nella forma “nuccio”: Carminuccio e Antonuccio. Inoltre, i tempi di radicamento del culto di queste tre figure religiose ben si conciliano con quelli della formazione dei cognomi avvenuta nell’epoca immediatamente successiva alla fine dei lavori del Concilio di Trento.
Pertanto, mi sento di escludere la derivazione del cognome in questione dal personale Sebastiano: il culto di questo santo, benché attestato a Roma in tempi antichi e registrato scarsamente a Capracotta sin dalla Numerazione del 1561, si diffonde dopo la peste del 1656 insieme a quello di san Rocco (i due santi sono invocati come protettori contro quel morbo), quando il processo di formazione dei cognomi è già avviato da circa un secolo.

La controriforma cattolica a Capracotta

L’applicazione dei dettami della Controriforma cattolica a Capracotta avviene nel corso del Seicento attraverso una serie di interventi calibrati: la ristrutturazione della chiesetta e il potenziamento del culto della Madonna di Loreto, la riorganizzazione del clero cittadino, l’introduzione del registro parrocchiale per la “cura delle anime” e, quanto meno, la decisione di conformare la struttura rinascimentale della Chiesa Madre alle linee dell’architettura del tempo.
Ma la penetrazione della Controriforma nella società capracottese si evince molto bene anche dall’onomastica contenuta nella Numerazione dei fuochi del 1732. Se nel 1561, i nomi dei nostri antenati si richiamano espressamente ai santi della tradizione cattolica dei primi secoli dell’era volgare (Andrea, Battista, Giovanni, Lazzaro, Lorenzo, Marco, Matteo, Nicola, Pietro, Sebastiano, ecc.) e del Medioevo germanico, italiano e spagnolo (Alfonso, Bernardino, Corrado, Francesco, Gregorio, Isabella, Laura, Sigismondo, ecc.) oppure al mondo culturale dell’antichità classica secondo un modello tipico del Rinascimento (Annibale, Fabrizio, Iulia, Pirro, Tiberio, Valerio e Vespasiano), nel 1732 lo scenario è completamente cambiato. Gli ordini religiosi impegnati nell’affermazione del nuovo percorso del Cattolicesimo delineato dal Concilio di Trento (Cappuccini, Carmelitani, Domenicani, Gesuiti e Teatini) con il loro bagaglio di santi e madonne hanno profondamente inciso sulla religiosità dei nostri avi. Ci sono diversi nomi di santità tipicamente “tridentine”: Carlo (san Carlo Borromeo), Carmine/Carmina (Madonna del Carmine), Domenico (san Domenico di Guzman), Gaetano/Gaetana (il teatino san Gaetano di Thiene), Saverio (il gesuita san Francesco Saverio) e Teresa (la domenicana santa Teresa d’Avila). L’onomastica legata alla Madonna di Loreto, benché timidamente già presente nel 1561, si rafforza prevalentemente tra il gentil sesso nella forma settecentesca ”Lorita” per effetto del rafforzamento del culto imposto a livello generale dalla Chiesa di Roma.
Il nome più diffuso a Capracotta nella prima metà del Settecento, è Antonio. Non sappiamo se per devozione a sant’Antonio da Padova, che i capracottesi venerano ieri come oggi nell’omonima chiesetta costruita a valle dell’antico quartiere francescano di santa Maria delle Grazie (‘n cima ar’coll’), oppure in onore di sant’Antonio abate, protettore degli armenti, che i nostri antenati venerano in una apposita cappella di cui si hanno le ultime notizie nel Catasto Onciario del 1743.

I capracottesi del Settecento: un patrimonio da valorizzare

Non è possibile trattare in questa sede per ovvi motivi di spazio gli effetti della Controriforma a Capracotta in maniera dettagliata. Voglio, però, chiudere questo mio intervento soffermandomi ancora sul Settecento capracottese. Il presidente della nostra Associazione, Domenico Di Nucci, ha ricostruito i gruppi familiari della Capracotta della prima metà del XVIII secolo incrociando documenti statali ed ecclesiastici: la Numerazione dei fuochi del 1732, lo Stato delle Anime del 1736 e il Catasto conciario del 1743. Uno studio molto accurato dal quale emerge un panorama circostanziato dei gruppi sociali e delle attività economiche presenti a Capracotta nell’arco storico considerato. Personalmente, mi auguro che questa ricerca possa essere stampata in tempi brevi come primo passo di una politica strategica della cultura che, puntando sulla ricostruzione dell’identità comunale, contribuisca alla crescita intellettuale della nostra comunità e, al tempo stesso, a collocare la nostra cittadina in segmenti sempre più variegati del turismo nazionale e internazionale.

Francesco Di Rienzo