Capracotta nella letteratura: il resoconto di una gita

La salubrità dell’aria, la natura incontaminata e i panorami meravigliosi, nel ‘900 costituirono tutto un insieme per definire Capracotta “La Svizzera d’Italia”. La presenza di alberghi e di diverse pensioni, la splendida accoglienza ai visitatori, il cibo genuino e saporito integravano le bellezze naturali, anche, se purtroppo, erano presenti criticità che, alla fine, venivano superate da parte di chi, per ritemprare lo spirito e il corpo, veniva a Capracotta e si beava durante tutta la piacevole permanenza.

All’epoca non si mancò di riportare sul retro delle cartoline illustrate del nostro paese l’invitante reclame : “…stazione climatica e degli sport invernali” quale silente messaggio a scoprire e visitare la nostra terra alla luce della rinomanza turistica.

Da quanto si è potuto leggere in altri scritti, diverse personalità non solo nazionali ma anche estere e di varia estrazione sociale, fecero visita al nostro paese.

Diversi pittori immortalarono sulle loro tele i nostri luoghi, esaltandone le bellezze, forse richiamati a Capracotta da quanti erano precedentemente andati, senza dimenticare, e sempre dello stesso tenore propagandistico, il film “Il Conte Max” diretto da Vittorio de Sica e interpretato da Alberto Sordi che nel 1957 invitava gli appassionati ad  andare sulla nostra neve.

Premessa questa per riferire  quanto riportato dallo scrittore Berengario Amorosa (Riccia 1865-Roma 1937), il quale nella sua opera “Il Molise- Almanacco Regionale” del 1924, scrive un capitolo dal titolo: “Una gita a Capracotta”.

L’Autore riferisce che, insieme ad amici, dopo la fermata del treno a Carovilli,-sulla linea ferroviaria Carpinone-Castel di Sangro-la comitiva con “una comoda e grande vettura automobilistica” si avvia verso Capracotta.

Durante il percorso si possono osservare “estesi boschi di faggi e cerri, spezzati a tratti da pingui pascoli”; a Staffoli è presente una casa cantoniera che “sorse per ricovero dei cantonieri stradali e dei viandanti sorpresi dalla bufera quando, prima dell’apertura della ferrovia elettrica Pescolanciano- Agnone le comunicazioni avvenivano per la via di Carovilli”. Pagine che, per la descrizione della bellezza dei luoghi, spingono il lettore a verificare di persona la realtà descritta dall’autore”. A Staffoli  si ammira una estesa prateria col cascinale dei Signori Marracino, numeroso bestiame bovino e produzione di burro, scamozze e caciocavalli rinomati”.

A questo punto, continuando il viaggio, la strada si biforca, “infilando il braccio che va a Capracotta”, inizia la salita attraverso boschi, pascoli eccellenti e terreni coltivati a grano, farro e orzo”.

L’orizzonte “si fa sempre più bello e più vasto, perché lo sguardo vi domina centinaia di vallate, e gli opposti monti ,fino alle alture della Capitanata”; superato Monte Capraro, tra “ un incantevole bosco di faggi”, si apre “all’attonita vista un incomparabile spettacolo”. Nelle lontananze “le vette, ancora ricoperte di neve, brillano al sole come diamanti, giù per i colli e le valli paesi e corsi d’acqua avvolti nella caligine luminosa del mattino”.

La contemplazione “di così grandiosi orizzonti è interrotta da insistenti latrati: alcuni grossi cani da guardia circondano ed inseguono l’automobile”; numerose mandrie di pecore “alimentano il caseificio”.

Così si discende a Capracotta. L’Autore, nel suo lavoro, descrive il nostro paese: dice che è “importante, uno dei più alti d’Italia, il clima è rigido, abbondano pascoli e boschi, le industrie principali sono la pastorizia e la confezione del carbone”.

L’abitato si distende sopra una cresta rocciosa, edifici degni di nota sono l’asilo infantile, “il fabbricato scolastico”, il palazzo comunale e la settecentesca “chiesa matrice”.

Nei “dintorni sono state scoperte tombe antichissime” e una “cinta grandiosa di mura ciclopiche” sul “Monte Cavallerizza”. Per la “freschezza e la salubrità del clima, Capracotta potrebbe essere un degno “centro di villeggiatura estiva e sviluppare assai bene l’industria del forestiere”. Ma come vi è “deliziosa l’estate, altrettanto vi è orrido l’inverno. Il paese è a lungo bloccato da ingente quantità di neve, che spesso raggiunge i cinque metri”.

Lo scrittore correda quanto descritto con diverse foto: “Panorama”, ”Mura Ciclopiche”, “Una via sotto la neve”, “La cattura di un lupo”, ”Processione della Madonna di Loreto”, “Branco di pecore al pascolo”, “ Un pastore”.

E’ descritto un viaggio avventuroso per una violenta bufera di neve della durata di due giorni per ritirare la posta e far rifornimento di sale a Carovilli, nonché è riferita l’esistenza di una “cappellina” a qualche chilometro di distanza dall’abitato dedicata a Maria Santissima di Loreto, della festa che si celebra ogni tre anni con “varie confraternite, da due trecento cavalli, ricoperti di variopinte gualdrappe, infiocchettati di nastri, cavalcati da robusti montanari, alla cui testa sventola il vessillo della locale Società dei Vetturini”.

A chiusura della descrizione che può definirsi un inno a Capracotta, l’Autore auspica che il turismo possa incrementarsi per “la nuova strada rotabile fino a San Pietro Avellana, perché Capracotta si renderà meglio accessibile” così che i visitatori “saliranno alle sue altezze ossigenate, alle sue balze pittoresche, ai suoi parchi naturali di faggi, alle sue scroscianti cascate, ai suoi orizzonti sconfinati, per rinvigorire il corpo e per sollevare l’animo dalle aspre lotte della vita”.

In un altro capitolo del citato volume intitolato “Armenti e Latticini”, lo scrittore fa riferimento alla transumanza, alla gestione delle mandrie di pecore da parte dei “ buoni pastori e massari di un tempo, esperti fra tutti nel mestiere quelli di Capracotta e di Vastogirardi, dall’ingegno pronto e acuto, buona parte analfabeti che si alimentano poveramente di solo pane condito con olio e sale e di un po’ di ricotta”; soggetti questi che assicurano carne, lana, latticini; dopo aver spiegato tutto il procedimento nei caseifici, l’Autore afferma che “ il latte è trasformato in saporiti formaggi, tenera ricotta, burro squisito, fragranti caciocavalli, delicate scamozze”.

Queste pagine, tratte da un’opera di uno scrittore molisano del ‘900, si aggiungono alle tante altre di diversa origine ed epoca che, per variegati motivi, hanno fatto conoscere Capracotta in Italia e nel mondo.

In esse, in modo mirabile, con grazia, estro e fantasia, viene evidenziata la bellezza dei luoghi nonché, insieme a diverse notizie, esaltata la bontà dei prodotti del latte.

Ancora una volta la scoperta di un testo che, leggendolo, fa sempre più inorgoglire chi di Capracotta è figlio e amante.

Felice dell’Armi