La regina Maria d’Enghien nella cultura popolare capracottese

Presunto ritratto di Maria d’Enghien in un affresco della basilica di santa Caterina d’Alessandria a Galatina (Le)

La regina di Napoli Maria d’Enghien (1367- 1446) è un personaggio storico poco noto a Capracotta eppure Oreste Conti la ricorda tra le locuzioni e i modi di dire cittadini nella sua opera “Letteratura popolare capracottese” del 1911: «Fa ru negòzie de Maria Vrénna».

Maria d’Enghien, nipote della contessa Isabella di Brienne, nasce presumibilmente nel 1367 da Giovanni d’Enghien, conte di Lecce, e da Sancia (o Bianca) del Balzo. Nel 1384, dopo la morte senza eredi del fratello Pietro, diventa ad appena 17 anni d’età contessa di Lecce e signora di diversi feudi pugliesi. L’anno successivo, sposa Raimondo Orsini del Balzo e si trova ben presto coinvolta nella lotta tra Ladislao d’Angiò Durazzo e Luigi II d’Angiò Valois per il trono napoletano.

Non è nostra intenzione ripercorrere in questa sede tutte le fasi di quello scontro. Ci serve soltanto sapere che, nel 1405, la coppia, dopo aver sostenuto il re Ladislao, cambia bandiera a favore del Valois dovendone subire le terribili conseguenze. Il 17 gennaio del 1406, Raimondo muore a difesa di Taranto, assediata dal sovrano durazzesco. Maria resta sola, con quattro figli minorenni, a dover affrontare forze nettamente superiori alle sue. Il 16 aprile del 1407, Ladislao di Durazzo pone nuovamente l’assedio alla città di Taranto. E qui avviene il colpo di scena. Maria accetta la proposta della diplomazia nemica e sette giorni dopo sposa Ladislao nella cappella del castello di Taranto, oggi scomparso, nonostante gli ammonimenti dei suoi consiglieri: «Lo re te amaczerà». «No me nde curo, moro regina» (non mi interessa, muoio da regina), pare avrebbe risposto loro.

E, invece, Ladislao non la uccide. Incorpora nel demanio il Principato di Taranto e le Contee di Lecce e Soleto e la esclude dalla gestione del potere politico. Le cose vanno peggio alla morte del marito, avvenuta nel 1414. La nuova regina, la cognata Giovanna II, addirittura la fa rinchiudere con i suoi due figli maschi (Giovanni Antonio e Gabriele) nelle prigioni di Castel Nuovo a Napoli perché la considera una possibile rivale per la Corona napoletana.

Negli anni successivi, Maria deve lottare per ottenere la libertà, la liberazione dei figli e la restituzione dei feudi persi. Tra l’altro, versa alla corte 8.000 ducati per la liberazione del figlio Gabriele e ben 20.000 ducati per acquisire i diritti sul principato di Taranto da Giacomo II di Borbone- La Marche, prima marito e poi nemico della regina Giovanna. Muore a Lecce il 9 maggio del 1446.

La scelta di Maria d’Enghien, erede della famiglia dei Brienne, di barattare la propria libertà e la sovranità sui suoi feudi con il matrimonio con Ladislao d’Angiò (con tutti gli sforzi successivi per recuperare quanto perduto) viene percepita negativamente, come uno scambio svantaggioso o un cattivo affare, nella tradizione orale napoletana del tempo creando in senso ironico la locuzione dialettale: «Fa’ ‘o guadagno ‘e Maria Vrenna» (fare il guadagno, l’affare di Maria di Brienne). Tale locuzione si diffonde rapidamente nelle province del Regno, adattandosi ai vari dialetti e alle differenti culture popolari locali.

Nel 1911, il nostro Oreste Conti la registra anche a Capracotta nella sua opera “Letteratura Popolare Capracottese: «Fa ru negòzie de Maria Vrénna». Oreste Conti dimostra di conoscerne il senso («far cosa che non ci torna utile, ma in danno», «vendere alla disperata») ma la spiega identificando la protagonista con «una popolana, che comprava la vrénna (crusca) a cinque soldi la misura per rivenderla a quattro» e limitandosi a inserire in una nota la segnalazione del famoso critico letterario Francesco Torraca secondo il quale «qualcuno la (Maria Vrenna, ndr) identifica con un personaggio storico, Maria de Brienne, contessa di Lecce».

Nell’inverno del 2015-2016, durante la stesura del volume “Ch∂ m’accund∂? Lemmi e motti della parlata di Capracotta” per l’associazione Amici di Capracotta, il  sottoscritto e gli altri due autori (Felice dell’Armi e Domenico Di Nucci) non hanno trovato più traccia di questa locuzione nella memoria dei 38 compaesani che, con la loro testimonianza, hanno contribuito alla realizzazione dell’opera.

Ma, in fin dei conti, Maria d’Enghien de Brienne ha fatto davvero un così cattivo affare sposando re Ladislao? Analizzato sul piano storico- osserva Andreas Kesewetter, autore di un pregevole saggio sulle vicende del Principato di Taranto fra il 1399 e il 1407- il “guadagno” di “Maria Vrenna” è tutt’altro che negativo: infatti, in una situazione disperata e senza scampo, la nobildonna non solo riesce a salvare la testa (sua e dei figli minorenni) ma addirittura a ottenere, almeno nominalmente, la corona di Napoli. Insomma non proprio il peggiore di tutti gli affari possibili!

Francesco Di Rienzo

Bibliografia:

R. Barletta, Maria d’Enghien donna del Medioevo, Edizioni Grifo, Lecce, 2015

A. Bascetta, Marie d’Enghien dei Brienne de Luxembourg, ABEditore, Milano, 2014

A. Cassiano – B. Vetere, Dal giglio all’orso. I principi d’Angiò e Orsini del Balzo nel Salento, Congedo Editore s.r.l., Galatina (Le), 2006

O. Conti, Letteratura Popolare Capracottese, II edizione, L. Pierro, Napoli, 1911

B. Croce, Storie e leggende napoletane, Adelphi, Milano, 1999

A. Cutolo, Maria d’Enghien, Congedo Editore s.r.l., Galatina (Le), 1977

F. dell’Armi, D. Di Nucci, F. Di Rienzo, Ch∂ m’accund∂? Lemmi e motti della parlata di Capracotta, Amici di Capracotta, Tipografia Cicchetti, Isernia, 2016

C. Iandolo, Dizionario Napoletano semantico- etimologico, V edizione, Cuzzolin s.r.l., Napoli, 2012

A. Kesewetter, Il Principato di Taranto fra Raimondo Orsini del Balzo, Maria d’Enghien e re Ladislao d’Angiò-Durazzo (1399-1407) in atti del convegno di studi “Un Principato territoriale nel Regno di Napoli? Gli Orsini del Balzo principi di Taranto (1399-1463)”, Lecce 20-22 ottobre 2009, a cura di L. Petracca e B. Vetere, Istituto Storico per il Medio Evo, Roma, 2013