Oh Madonna di Loreto…

La Madonna in piazza Stanislao Falconi. Foto:  Giovanni Carnevale

“Oh Madonna di Loreto…” L’invocazione sale lenta e solenne dalla processione e si completa con la richiesta “per noi prega, per noi prega”. È l’invocazione alla madre di pregare per i figli. C’è come un’incertezza sulla ‘e’ di ‘prega’. Le donne – sono prevalentemente loro che cantano – è come se togliessero senso al verbo ‘pregare’. La ‘e’ è troppo aperta e la ‘a’ si chiude in fretta come afferrata dalla ‘g’ dura.

È in questo liquido sonoro dolce e a tratti aspro che scorrono i passi della processione nella sera del 7. Sono passi in salita, verso la Chiesa. Ci sono i cavalli senza ornamenti; c’è il fuoco delle torce. La Madonna dondola sul fiume scuro di persone qua e là illuminato dal fuoco.

Il rito si ripete e porta con sé il respiro di altre generazioni che si sono riunite per la stessa festa pensando alle morti recenti, alle malattie, alle nascite, ai matrimoni, e durante la processione hanno pregato, hanno chiesto conforto ed aiuto.

La sera del 7 è la sera della vigilia. Nelle case tutte le finestre e i portoni hanno una luce accesa; e insieme alla luce alle volte il dondolio delle fiammelle o dei ceri. L’aria è come ispessita dai canti; dall’odore della cera bruciata e delle torce. Le persone anziane o ammalate si affacciano a fatica sull’uscio di casa.

Il primo trionfo è l’entrata in Chiesa. Dal buio del santuario, la Madonna esce quando è ormai sera, attraverso le luci delle torce, poi delle case, fino all’altare della Chiesa Madre. La madre che entra nella sua casa, nella sua chiesa. Perché la Madonna è la Madonna di Loreto, la Madonna che abita la casa in cui è stato concepito – per virtù dello spirito santo – Gesù, e in cui ha vissuto Gesù Bambino.

Il carattere domestico della chiesa, il carattere di casa abitata da una famiglia, ci viene incontro col nome di Loreto. La notte tra il 7 e l’8 è vuota di sogni, solo sonno, perché tutti hanno già sognato la processione. La banda musicale c’era già alla processione della sera, ma è come se nessuno l’avesse notata. Tutti hanno sentito lo strepito, ma nessuno ha sentito la banda.

Al mattino squillano le trombe del sole, e poi da qualsiasi punto del paese si sente da lontano arrivare la banda, come se la banda non possa che avvicinarsi in crescendo. La gioia cresce al mattino. Il buio della sera con le preoccupazioni e il dolore della vita è dissolto dal sole e dal primo giro di paese della banda.

Poi la gente si prepara, esce da ogni casa e si raccoglie in chiesa. La messa solenne, la chiesa piena, assomiglia nella pienezza alla Madonna grazia plena, il Signore con te. Ma ci sono figli di ogni età, deboli o vecchi o malati, che non sono potuti venire in Chiesa e allora la Madonna va da loro, non può entrare in casa ma si ferma davanti alle loro case e loro si affacciano, si fanno portare a vederla, la implorano “Madonna mia” e si fanno il segno della croce.

Gli ammalati non raccomandano neanche più se stessi, raccomandano i figli, i parenti stretti, e la statua sembra che riconosca la loro forza, la loro umanità, lo fa senza un cenno; come può una statua fare un cenno? Ma il sentimento si trasmette a quelli che la portano e da loro e da lei stessa agli altri che la guardano. Ogni fermata, ogni stazione, è una sacra rappresentazione. Davanti alla statua le file di bambini e di donne, la banda, e le fettucce di stoffa su cui si attaccano con i fermagli le carte dei soldi donati alla Madonna; dietro, le autorità e la massa della processione. Poi quando la processione ha compiuto tre/quarti del percorso, lo ‘sparo’. Guardano e ascoltano le persone della processione, ma lo sparo arriva lontano, ai paesi vicini; attutito, ma certo non è un tuono: è la festa della Madonna di Capracotta.

Nella massa delle persone che seguono la processione vengono tolte le differenze, nell’unità della fede alla Madonna si riuniscono le madri che sono tali e le madri per i figli. A tratti si coglie l’esser parte di un corpo mistico; si coglie il carattere sacro della maternità; l’esser uno, nella madre, del padre, del figlio, e dello spirito santo.

La Madonna rientra in chiesa e le famiglie rientrano in casa: il secondo momento sacro è compiuto. Adesso la festa dispiega la parte profana: la fiera, le bancarelle, le nocelle, e – la sera – il concerto.

La mattina del 9 bisogna andare a prendere i cavalli al pascolo o nelle stalle un po’ fuori mano. I cavalli vengono portati a via sotto e vestiti. E qui si compie, inavvertita, la parte più strana, arcaica e blasfema della festa: ciascun cavallo viene vestito come fosse la Madonna, con l’ornamento più ricco.

La devozione delle famiglie fa a gara con la devozione della comunità – di generazioni che hanno trapuntato d’oro la veste della Madonna; e lo fa ornando un animale. Gli animali domestici partecipano con un loro rappresentante, il cavallo, alla festa della Madonna. Alla natività partecipano il bue e l’asinello, alla festa della Madonna di Loreto i cavalli. Anche qualche asinello viene bardato, ma non accentua la sacralità della festa. Anzi, la smorza: ha un effetto comico, buffo, da commedia. Il ritorno della Madonna al Santuario, agli inizi di settembre, ripete in forma di sacra rappresentazione il dolore di dover partire, di doversi allontanare, e l’incertezza di poter ritornare.

Quando i cavalli sfilano davanti alla Madonna che è sull’uscio di casa, in cima alle scale del santuario, gli occhi di tutti si fissano sui cavalli e sui cavalieri, che rendono omaggio inchinandosi. A volte lo strappo per chiedere al cavallo di chinare la testa è così forte che il cavallo non capisce, solleva la testa, si innervosisce, e scarta di lato. La Madonna è impassibile: è il fondale su cui scorrono il timore e il tremore degli uomini.

 Tre momenti sacri, tre giorni: l’uscita dal santuario, la processione nel paese, il ritorno. Ogni tre anni. La trinità fatta donna, il mistero dell’unità del padre, del figlio e dello spirito santo che tenta di comprendersi facendosi persona e festa sacra.

Paolo Di Nucci

Fonte: Voria, Giornale di Capracotta, anno 2 n.4