Cóccialunghә

I nonni materni e paterni. Da sinistra: Sebastiano Di Rienzo, Pasqualina Pettinicchio, Adelina Battista e Michele Sanità

Ho conosciuto solo la mia bisnonna Maria Rosa Carnevale, gli altri bisnonni sono deceduti prima che io nascessi. In famiglia qualche volta si parlava di loro, nati tutti nella seconda metà del 1800, e soprattutto di Michelangelo per via del soprannome di famiglia.

In quasi tutti i piccoli comuni d’Italia ancora oggi si usa indicare una persona con il soprannome o di famiglia o proprio e per famiglie numerose come la nostra il soprannome era indispensabile; se per esempio qualcuno doveva cercare per un qualsiasi motivo Pasquale Di Rienzo o Michelangelo Di Rienzo non poteva passare in rassegna tutti i Di Rienzo: ci sarebbero stati certamente casi di omonimia. Però, bastava che chiedesse di Pasquale dәTòtta o di Michelangelo Cóccialunghә e la ricerca finiva lì.

Oltre ai due soprannomi citati per i Di Rienzo di Capracotta vi sono ancora oggi altri soprannomi come Cènnaflòrә, dә Mattèә, Mәscanzә, Ndugnonә, Sarrécchia e Spavénta.

L’apparire di un soprannome è legato ad eventi irripetibili e unici. Questo evento può indicare un fatto clamoroso, uno scherzo, una circostanza particolare, una caratteristica fisica, un mestiere, un nomignolo e quant’altro può stimolare la fantasia di chi ti sta intorno.

Scorrendo tutti i soprannomi di un paese si apre una fantastica pagina di storia, di usi e costumi, di cultura e di vita e quando ne scompare qualcuno inevitabilmente si ha un impoverimento culturale di tutta la collettività.

Un altro aspetto curioso del soprannome riguarda anche il matrimonio; solo lo sposo trasmetteva ai figli oltre al cognome anche il soprannome e la sposa trasmetteva il proprio soprannome alla famiglia solo in casi eccezionali.

Esiste tutta una varietà di soprannomi alcuni anche offensivi e sgraditi. Io ero curioso di sapere il perché del soprannome di famiglia: Cóccialunghә. Il mio bisnonno Michelangelo prevalentemente faceva il pastore e fu il primo Cóccialunghә. Fino a quando non fu introdotta la scuola dell’obbligo, anche frequentare le prime classi della scuola elementare era un lusso che poche famiglie potevano permettersi; quasi tutti i ragazzi in tenera età venivano avviati ad un mestiere.

 E così fu per Michelangelo che cominciò prestissimo ad accudire le pecore e crescendo apprese tutti i trucchi del mestiere. Si distingueva tra i suoi colleghi di lavoro per le sue brillanti capacità intellettive; spesso prevedeva l’evolversi di azioni e situazioni e così i suoi amici lo soprannominarono Cóccialunghә, vale a dire “Testa che vede in lontananza”.

Sebastiano Di Rienzo

Fonte: S. Di Rienzo (a cura di D. Di Nucci), Il cappotto di quarta mano. Ricordi di un’infanzia felice, De Luca Editori d’Arte, Roma, 2017