Posta & francobolli: Capracotta anno 1866

Da appassionato di filatelia, leggendo il volume “Il Molise e i francobolli “di Franco Romagnuolo e Michele Giampietro (ed. Manuzio, 1988), ho avuto il piacere di vedere in una pagina di questo, la copia di un francobollo di 20 centesimi (al quale ho affiancato uno simile nuovo) con l’effigie del Re Vittorio Emanuele II, annullato a Capracotta il 10 novembre 1866.

Il colore era chiaro, celeste con punti, detto “ferro di cavallo”, necessario, all’epoca, in rapporto alla incerta illuminazione delle “agenzie postali” e per una completa identificazione. Era dentellato per una indispensabile velocizzazione e separazione degli esemplari. Tutto quanto in relazione a maggiore afflusso di corrispondenza nella ormai unita Italia, oltre che all’estero In esso è rappresentato il viso del Re del tempo di profilo che si fa conoscere, attraverso questo piccolo rettangolo gommato, anche ai sudditi della nostra comunità, e la sua osservazione mi ha indotto a ricordare quanto relativo alla scrittura e all’invio di corrispondenza, con tutta una specifica procedura, anche da me vissuto.

Preparare un foglio, un calamaio con l’inchiostro, la penna e la carta assorbente. Inchiostro, spesso causa di macchie sui vestiti ,con facili  rimproveri delle nostre mamme, sostituito, nei periodi di…magra, dal liquido nero del frutice del sambuco; penne costituite da asticelle circolari di legno con all’estremità pennini metallici di varia forma (  Cavallotti, a campanile, a manina o schiacciati) che, spesso si arcuavano per immancabili cadute, causando strappi sui fogli, in verità più ruvidi che lisci sui quali si scriveva, sfoggiando una ricercata calligrafia, da parte dei soli capaci.

Corrispondenza vergata a mano direttamente da quanti avevano frequentato corsi scolastici un tempo o indirettamente dettata a chi sapeva leggere e scrivere. Lettere, cartoline ecc. scritte a mano con la citata penna, arnese che trasferiva sulla carta, mediante un sincronismo: cuore, mente, articolarità della mano sentimenti, amore, calore umano e quant’altro da parte del mittente. Espressioni che, anche se tradotte in termini molto semplici ed elementari, rappresentavano, infine, la base sulla quale si impiantava la vita di un tempo. Liete o tristi notizie trasmesse da mani maldestre talvolta su carta ruvida, utilizzando pennini spuntati e inchiostro incerto, ma su tutto primeggiava la trasmissione di messaggi dai quali traspariva l’essenza della mentalità, della cultura, comunque la struttura del singolo, parte della comunità.

Non mancava, forse, nella stesura dello scritto anche la verginità e l’origine vera e profonda dello spirito e del carattere della nostra gente, ossia il dialetto. Partenza della missiva tramite il procaccia e il “postale” e attesa trepida del suono della tromba del “pusctiere” sull’uscio di casa per l’agognata risposta, sostituito oggi da uno stridulo squillo del cellulare o dalla comparsa di uno specifico segnale del computer

Poesia di ieri, meccanicismo di oggi. Penna, pennino, inchiostro, busta e foglio, tampone assorbente sostituiti ora da una tastiera sulla quale un dito, velocemente e distrattamente, scrive le lettere di un alfabeto sincopato, incapace di svelare la dolcezza, il profumo, il calore di una volta. Brevità tecnica e miscuglio grafico complicati, talvolta, da incomprensibili neologismi e aberrazioni linguistiche.

Chi fu il mittente che adoperò il francobollo in questione? A chi arrivò la missiva del 10 novembre 1866? Conteneva belle o brutte notizie? Dove era situata a Capracotta “ l’agenzia postale” allora?

A chiusura della pagina del libro citato, è riportato il testo della canzone “Quanda nasciste tu” (Quando tu nsacesti), gentile omaggio alla melodia del nostro paese da parte degli Autori che non mancano di rilevare che all’epoca “si esagerava” ad usare molto inchiostro da parte degli impiegati postali:

Quanda nasciste tu, scior de bellezza,

(Quando nascesti tu, fior di bellezza,)

Màmmeta parturì senza dulore

(la tua mamma partorì senza dolore)

e le campane sunàvene sole.

(e le campane suonavano da sole)

E la Madonna, che t’avette ‘m bracce,

(E la Madonna che ti ebbe in braccio,)

ta vatteiette a na fonte de viole.

(ti battezzò a una fonte di viole)

E la Madonna te dunatte l’trecce,

(E la Madonna ti donò le trecce,)

santa Lucia re biegl’ uocchi dore.

(santa Lucia i begli occhi d’oro)

Sciore de premavera, quando nasciste,

(Fiore di primavera, quando nascesti,)

re munne de buntade sazijaste,

(il mondo di bontà saziasti,)

e la campagna de sciur arrevestiste

(e la campagna di fiori rivestisti)

Che spreconi!

Felice dell’Armi