La ruota delle stagioni: allegoria della vita

In questi ultimi tempi ho avuto spesso l’impressione che le mie giornate fossero incredibilmente lunghe, costretto come sono a risiedere in un luogo diverso da quello che avrei desiderato e per di più restando quasi sempre in casa: in fondo anche per mia scelta, ma soprattutto per la grave disabilità di mia moglie Anna; al tempo stesso, paradossalmente, mi sembra che i mesi e gli anni si susseguano con incredibile rapidità e ripenso all’esortazione di mia nonna quando ero ragazzo:

“Non essere impaziente di …bruciare le tappe; vedrai come passerà

anche troppo in fretta il tempo quando sarai più vecchio”.

Non so davvero darle torto perché ora mi accorgo di scivolare, in un batter d’occhio, da una stagione all’altra; d’altro canto, nel passato anche non remotissimo, l’età media della vita umana era molto più breve ed è incredibile leggere nei Salmi del vecchio Testamento che il suo limite estremo fosse già collocato, con simpatico ottimismo, intorno agli ottant’anni:

Gli anni della nostra vita sono settanta,

ottanta per i più robusti…

passano presto e noi ci dileguiamo” (Sal. 89, 10)

In ogni caso, ancora una volta mi sono lasciato sorprendere dal ritorno della primavera e ho ricordato il sonetto di Francesco Petrarca con il suo famoso venticello e la metafora mitologica delle “rondini e degli usignoli”:  

“Zefiro  torna, e ’l bel tempo rimena,

e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,

e garrir Progne e pianger Filomena,

é primavera candida e vermiglia”.

Sarebbe molto bello se, con la buona stagione, migliorassero anche i toni del mio umore ma temo che, purtroppo, rimangano nella scala del grigio; del resto neppure da giovanissimo amavo particolarmente questo periodo dell’anno e, ancor meno, l’estate con la sua calura: e ora, per di più, non posso neppure programmare un periodo di soggiorno a Capracotta.  Riconosco peraltro, con molto dispiacere, che negli anni scorsi stava già diventando più modesto il beneficio di tornare in paese e non è certamente facile spiegare le ragioni di questo assurdo; era comunque intervenuto un grande cambiamento nelle consuetudini familiari e sociali che limitava moltissimo, ad esempio, gli incontri con gli amici d’infanzia: diversi dei quali, purtroppo, anche scomparsi. Sembrerebbe perciò che il mio disagio attuale dipenda soprattutto dalla “solitudine”, sebbene “relativa” per chi come me è tuttora affiancato dalla famiglia; si tratta piuttosto di una diversa e forse più insidiosa forma di isolamento psicologico cui si associano altre ragioni che peggiorano la qualità della mia esistenza. Intervengono infatti, ne sono consapevole, altre motivazioni correlate al mio temperamento per cui mi sento un po’ di condividere le parole di John Steinbeck  che scriveva:

“Siamo animali solitari, ma passiamo la vita cercando di essere meno soli; uno dei metodi più efficaci per ottenerlo è di raccontare una storia che coinvolga interiormente l’ascoltatore affinché risponda: Sì, è proprio così o, almeno, è così che mi sento anch’io”. Non sei poi tanto solo come pensavi!”   

È questa la mia aspettativa quando, come in questo momento, cerco di far rivivere gli accadimenti del passato, unitamente alle persone che li hanno animati; non vorrei cedere di nuovo alla nostalgia, ma il mio pensiero ritorna istintivamente alla primavera di tanti anni fa. E di nuovo mi piace ispirarmi alle parole di scrittori e poeti che hanno mirabilmente disegnato un mondo irripetibile e incantato: ad esempio quelle di Giovanni Pascoli nella sua “Chiesa di Maggio”; esse mi sembrano infatti assai vicine, come raccontavo lo scorso anno,  alla  mia storia personale e all’esperienza giovanile vissuta a Capracotta quando ogni pomeriggio, ci si recava per il Rosario nel piccolo santuario della Madonna:

“Sciama con un ronzio d’api, la gente
da la chiesetta in sul colle selvaggio;
e per la sera limpida di maggio
vanno le donne a schiera, lente lente”
.

A questo punto, riflettendo alla ruota delle stagioni e al loro significato allegorico, riaffiora il pensiero della “vecchiaia” che mi stimola a rinnovare il proposito di accettarne pazientemente le prove, con tutte le loro conseguenze.

Nella sua “Lettera agli Anziani” del 1999 il santo Padre Giovanni Paolo II° scriveva:

“Purtroppo crucci e tribolazioni sono largamente presenti nell’esistenza di ciascuno: talvolta si tratta di problemi e sofferenze che mettono a dura prova la resistenza psicofisica e magari scuotono la stessa Fede. L’esperienza però insegna che le stesse pene quotidiane, con la grazia del Signore, contribuiscono spesso alla maturazione delle persone, temprandone il carattere”;

 sembra davvero impossibile credere che anche un ottantenne come me possa vedere accresciuta la sua “maturità” ma è innegabile che il tempo sia il grande maestro di tutta l’esistenza. Tornando infine al mio più grande motivo di sconforto, quello che per semplicità ho chiamato isolamento psicologico, mi auguro di accettare con maggiore docilità la perdita di tante piccole, gratificanti consuetudini; così, ancora una volta augurandomi di meritarlo, mi affido a quella che alcuni giorni fa il Papa Francesco ha definito “terapia della Speranza”: così ben suggerita nel Vangelo dell’altra domenica, al capitolo dei cosiddetti “Discepoli di Emmaus”; adattandone infatti le parole alla mia fascia di età e alla mia, così avanzata stagione, non posso che associarmi alla loro Preghiera:

“Resta con me, Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino” (Luca 24, 13-35).

Aldo Trotta