La “Siambretta”, uno scooter… capracottese

La Siambretta AV 175

Rileggendo uno dei miei raccontini dedicato alla “Vespa” e al mio “mondo a due ruote”, mi sono accorto di aver trascurato, del tutto involontariamente, il contributo quanto mai significativo di una famiglia capracottese alla diffusione  in Sud America degli scooter e dei motori; pur sapendo infatti che Torcuato Salvador Di Tella, incontrato una volta a Capracotta, era figlio di un imprenditore di cui portava lo stesso nome, non avevo mai avuto occasione di approfondire la storia della sua famiglia di emigranti dal nostro paese in Argentina: fatta eccezione per le notizie comparse, qualche anno fa, sul libro “A la Mèreca” dell’Associazione “Amici di Capracotta”.

Mi è parso, tra l’altro, imperdonabile che non sapessi granché dello stabilimento denominato “SIAM” (Sociedad Industrial de Amasadoras Mecánicas), inizialmente destinato alla produzione di macchine impastatrici e fondato dal papà di Torcuato; in questa fabbrica fu prodotto uno scooter su licenza Innocenti, che derivava dallo storico modello italiano “Lambretta” così chiamato, come molti sanno, perché costruito negli stabilimenti di Lambrate, nei pressi del fiume “Lambro”. E, in tutta sincerità, non avevo mai sentito parlare di una simpatica motoretta argentina cui era stato  assegnato il nome di “Siambretta”.

Quest’ultima era dotata inizialmente di un motore a 2 tempi funzionante a miscela di benzina e olio, a 3 marce, con una cilindrata  dai 49 ai 198 cc.; diversamente dalla Vespa Piaggio, che disponeva di un unico telaio, la Lambretta aveva una struttura tubolare più rigida su cui veniva assemblata la carrozzeria: ma erano tante le caratteristiche tecniche diverse tra i due motocicli.  Ad esempio i primi modelli prodotti dallo stabilimento milanese Innocenti, presentavano la caratteristica della carrozzeria scoperta, distinguendosi quindi nettamente dalla Vespa, che era invece carenata.

Anche la Lambretta fu poi prodotta con carrozzeria chiusa ed ebbe un enorme successo non solo in Italia tanto che, nei quasi 25 anni di produzione, venne costruita anche in diverse nazioni del mondo; ciò che mi ha molto sorpreso è che, ad acquisire la licenza Innocenti per l’Argentina, fosse appunto la fabbrica di Torcuato Di Tella.  Dopo tanti anni dalla sua cessata produzione, sono  presenti in Italia diversi “Lambretta Club” che continuano a diffondere e a tramandare il mito di una storica motoretta che rappresenta certamente un emblema degli anni ’50 e ’60; un  fenomeno analogo, forse ancor più  diffuso e radicato, si ritrova in Argentina, paese in cui i “lambrettisti” si chiamano “siambrettisti” e si fanno tuttora ammirare sui modelli più antichi e originali dello scooter. Neanche a dirlo, uno dei più noti e attivi Club argentini si trova proprio a “Santiago de l’Estero”,  residenza elettiva della famiglia Di Tella e vale la pena di aggiungere che le cronache giornalistiche raccontano di una sfilata del presidente argentino “Juan Domingo Peròn” a bordo di una “siambretta”; a riprova inoltre del profondo legame che si era creato tra Italia e il Sud-America in questo settore commerciale, nel dopoguerra il campione di formula 1, l’italo-americano “Juan Manuel Fangio” è stato l’importatore ufficiale dello scooter Vespa in Argentina. Di questo asso dell’automobilismo forse non molti sanno che era originario di Castiglione Messer Marino, un piccolo comune della provincia di Chieti il cui territorio è vicinissimo al nostro paese e soprattutto che una sua sorellastra, che io conoscevo da bambino, abitava a Capracotta con il marito calzolaio; cogliendone anzi l’occasione, ho appreso che nel prossimo mese di luglio si terrà, a Castiglione, un evento celebrativo ufficiale in onore di quel famoso campione e dello scooter Vespa.     

Tornando poi alle gioiose passeggiate in motoretta, è sempre vivo in me il ricordo di un altro veicolo di quei favolosi anni, il “GUZZI 65″ soprannominato “Guzzino”, che aveva la pretesa di rassomigliare alle moto di ben maggiore cilindrata. Mi è persino tornata in mente una scanzonata filastrocca che contrapponeva, prendendoli in giro, gli appassionati dell’uno e dell’altro modello: tutti comunque inebriati dalla meravigliosa esperienza di autonomia e di libertà che essi concedevano.    A pensarci ancora bene, sono convinto che nessuno a Capracotta, specialmente prima dell’ultimo conflitto, avrebbe mai immaginato che un concittadino potesse promuovere la motorizzazione di massa in una nazione come l’Argentina: specie considerando che nel 1937, allorquando mia madre arrivò dall’Emilia-Romagna, a Capracotta erano pochissime anche le biciclette.  Mi sono divertito, comunque, a cercare altre notizie sulla storia industriale dei “Di Tella” è c’è veramente di che sbalordire riflettendo agli incredibili, multiformi loro percorsi; basta pensare al fatto che, stavolta su licenza British Motor Corporation, la SIAM produsse anche migliaia di automobili; di esse la più nota era la 1.500, divenuta poi un vero emblema dei taxi a Buenos Aires. Sono rimasto assai colpito del fatto che, dopo la prematura scomparsa del padre e sia pure con l’aiuto del fratello Guido, a gestire la SIAM e i suoi circa 6.000 dipendenti si sia trovato proprio Torcuato junior. Quest’ultimo, pur essendo laureato in ingegneria, nascondeva altri “talenti” e coltivava altre ambizioni, fino a diventare  uno dei più noti sociologi e diplomatici con una carriera internazionale di grande prestigio; nel 2009 fu persino nominato ambasciatore argentino in Italia. Il Comune di Capracotta gli ha giustamente intitolato una strada e mi piace riportare le parole testuali pronunciate da Torquato Di Tella nel 2013, quando anche l’Associazione “Amici di Capracotta” gli ha conferito un riconoscimento ufficiale:

“Nella mia famiglia c’era molta immaginazione su Capracotta perché, anche se mio padre non ricordava molto essendosene allontanato così presto, le mie zie mi parlavano sempre del nostro paese; inoltre, dopo la guerra, mio padre non è più potuto rientrare in Italia a causa del suo impegno politico antifascista. Quindi per me, da bambino, Capracotta era un luogo “onirico”, un luogo dell’immaginazione”.

A questo punto, quasi contagiato dalla visione “onirica” infantile del caro Torcuato e pur non avendo mai dovuto solcare l’oceano da emigrante, mi assale d’improvviso una grande “nostalgia”: tanto più mentre si affievolisce fino a spegnersi la prospettiva di un “ritorno” alle radici; contribuisce forse l’aver riascoltato alla radio, nel giorni scorsi, una malinconica canzone del miei anni giovanili: “Sognando California” dei “Dik-Dik”; così, come capita spesso con certi brani musicali che riecheggiano nella mente, mi sorprendo a ripetere le parole del suo ritornello adattandole, naturalmente, alla mia storia:

“io sogno Capracotta, ti sogno Capracotta e… un giorno io verrò!

Aldo Trotta