C’era una volta  il Capraio (‘r craparɘ)

Nel  bene e nel male chi ha vissuto la realtà del nostro paese degli ultimi 80 anni e guarda quella attuale ha l’impressione di essere rapidamente transitato da un’era ad un’altra.

La vita dei quartieri, le numerose botteghe artigiane con i loro rumori, l’attività agricolo pastorale e quella boschiva, i personaggi che caratterizzavano quel mondo non esistono più..

Tra questi ultimi mi torna spesso in mente la figura del Capraio.

All’epoca infatti ogni famiglia aveva al pian terreno od in prossimità, un locale per gli animali che permettevano di trascorrere con una certa tranquillità il lungo periodo invernale: la capra (per le necessità nutritive dei bambini), le galline (per le uova ed il brodo in caso di malattia o di parto), il maiale (sacrificato a dicembre, “apparecchiato”, trasformato in prodotti diversi e appesi poi al soffitto delle cucine per l’affumicatura). Non mancava ovviamente la legna, ricavata dal taglio estivo dei boschi comunali, indispensabile per affrontare la stagione del freddo e talvolta dell’isolamento causa neve.

La presenza delle numerose capre comportava inevitabilmente la necessità di  una figura che assicurasse, nella buona stagione, la loro condotta al pascolo dietro un giusto compenso: il Capraio.

Dalla primavera, subito dopo lo scioglimento delle nevi, fino all’ autunno e  prima che i pascoli finissero nuovamente sotto la bianca coltre dell’inverno ormai alle porte, ben presto al mattino, in concomitanza delle attività che annunciavano il risveglio del paese, si udiva in lontananza e poi sempre più vicino il suono inconfondibile del corno del capraio che attraversava l’abitato per radunare le capre e condurle al pascolo.

    La capre, condotte al pascolo, lasciano il paese.

Come per magia si vedevano gli animali lasciare i loro rifugi per unirsi trotterellando al gregge che andava crescendo a vista d’occhio sotto lo sguardo attento del pastore accompagnato dai suoi cani. Dopo aver trascorso la giornata nei pascoli montani, per lo più nella zona della “Guardata” (la Uardata), prima del tramonto gli animali venivano ricondotti in paese; il gregge rientrava compatto e numeroso per poi assottigliarsi gradualmente: ordinatamente ogni capra, passando in prossimità della propria stalla si allontanava spontaneamente dal gruppo per raggiungere istintivamente il proprio giaciglio ed uscirne poi nuovamente il mattino successivo. 

Fino alla Seconda guerra mondiale il compito del capraio era affidato ad Adamo Fiore De Renzis  (Fiorɘ dɘ Mɘlionɘ), classe 1899; era figlio di Emilio (detto Milione per la sua grossa corporatura), fratello di Lucia e di Irene nonché vedovo di Giovannina Serlenga. Non apparteneva ad una famiglia benestante ed ai disagi della guerra ed alla miseria si aggiunse poi la disgrazia.  Il 20 novembre 1943, giù alla “Difensa” (la Dɘfenza), dove aveva condotto al pascolo le sue capre, rimase ucciso assieme al figlio Emilio di soli 11 anni dallo scoppio di una mina, residuato bellico del conflitto mondiale in corso.  

A Fiore succedette Vincenzino Santilli, classe 1922,  figlio di Giampietro (Meùss) e marito di Cristina Di Tella; abitava in via S. Giovanni di fianco alla casa e negozio di generi alimentari del maestro Onorino Di Tanna.  Ho ancora nitido il ricordo di Vincenzino che spingeva  avanti il gregge con passo sicuro, affiancato da un paio di cagnolini bastardi e ben addestrati, pronti ad ogni suo cenno ad accorrere abbaiando per riportare nel gruppo qualche capra svogliata;  in una mano il corno e nell’altra il bastone, sulla spalla il tascapane di foggia militare con la colazione al sacco e la fiaschetta del vino; spesso  un grosso ombrello con aste di bambù, legato con lo spago e portato a tracolla in caso minacciasse pioggia.

Il corno e la fiaschetta di Vincenzino Santilli.

Il numero degli abitanti, a partire soprattutto dagli anni 1940 in poi,  è andato gradualmente ed inesorabilmente scemando a causa dell’emigrazione in Italia e soprattutto all’estero.

Popolazione residente nel Comune di Capracotta; dati ISTAT (1861-2021)

Anche il numero delle capre è andato parimenti riducendosi; è aumentato nel frattempo il consumo di latte vaccino venduto in latteria o consegnato  a domicilio, prima che comparissero negli scaffali dei negozi alimentari le bottiglie e poi le buste del prodotto pastorizzato e pronte per il consumo.

 Il lavoro del capraio non aveva più motivo di esistere.

Vincenzino, come molti altri compaesani di quel periodo, è stato costretto a cercare altrove lavoro per soddisfare le necessità della famiglia. Nel 1961 ha lasciato Capracotta per trasferirsi in Germania, come operaio nel settore edilizio, fino al 1973 quando è rientrato definitivamente in Italia, a Roma, dove è deceduto nel 1991.

È scomparsa con lui la figura di uno dei personaggi più caratteristici di una realtà lontana, quasi fiabesca: il Capraio.

Vincenzino Di Nardo