L’assurdità della guerra

Le abitazioni su corso sant’Antonio distrutte dai nazisti in ritirata nel 1943

È ancora grande la mia emozione per aver ricordato, nei giorni scorsi, l’ottantesimo anniversario della distruzione di Capracotta durante l’ultimo conflitto mondiale del 1943: tanto più ripensando che ero riuscito a sopravvivere, essendo allora un lattante di soli tre mesi, grazie alla solidarietà e alla generosità di persone buone; perciò mi ha davvero impressionato cogliere stamani lo sconforto di papa Francesco che è arrivato a dire:

“i teatri di guerra attuali stanno diventando

  dei veri e propri Cimiteri per bambini”.

Mentre da un lato si moltiplicano le iniziative a sostegno delle organizzazioni scientifiche e di ricerca in prima linea nella lotta contro terribili patologie infantili, dall’altro, paradossalmente, si assiste impotenti alle tante “stragi di innocenti” che riempiono le cronache attuali.

Perciò, a maggior ragione, mi ha molto colpito un editoriale di Ernesto Galli della Loggia pubblicato sul Corriere della Sera in data 6 novembre u.s. e intitolato: “ La Storia figlia delle Guerre (che si vuole dimenticare)”; secondo questo giornalista, infatti, esiste un consolidato e inscindibile rapporto di causa-effetto tra le armi e il beneficio della nascita dei regimi democratici nel nostro continente.

In altri termini sarebbe tuttora valido, anche se molto deprimente, il pensiero di Eraclito per cui il demone della guerra (Polemos in greco antico) sarebbe all’origine di tutte le cose, che siano o meno favorevoli per l’umanità; a volte cioè solo la guerra sarebbe capace di evitare un male ancora peggiore pur comportando, come corollario ineludibile, il rischio di morire e soprattutto quello di uccidere.

Non dovrebbe perciò scandalizzare più di tanto che il premier inglese Churchill, nel 1941, si fosse convinto dell’ineluttabilità di una risposta devastante sul nemico tedesco: al punto che risulta siano state più di 400 mila le incursioni aeree, con oltre un milione di tonnellate di bombe sganciate, un bilancio finale di oltre 600 mila morti e qualcosa come 7 milioni e mezzo di senzatetto; ma è superfluo e penoso soffermarsi sugli aspetti che caratterizzano la disumanità della guerra: ottant’anni or sono come adesso e per di più disponendo di armi ancor più sofisticate e devastanti.  Basta pensare, ad esempio, agli scopi iniziali per cui sono stati ideati e costruiti i cosiddetti “droni”, utilizzati ora per provocare effetti distruttivi di estrema gravità.

Sembra così che in molti casi “il fine giustifichi i mezzi” anche nel momento in cui le operazioni accreditate come “militari” si trasformano in veri e propri “crimini di guerra”; è terribile accettare questa logica, ma sta di fatto che la storia diventa tragica allorquando, per affermare le proprie ragioni di bene, è costretta a servirsi di mezzi tanto ripugnanti.

A questo punto è inevitabile che il mio pensiero torni ai tremendi giorni della distruzione di Capracotta sebbene io, così’ piccolo allora, non possa che darne una testimonianza indiretta; e rifletto in particolare alla volontà istintiva, ma inaffidabile, di assegnare un giudizio morale complessivo alle diverse etnie di soldati costrette ad avvicendarsi in quella terribile stagione.

A tale proposito non finisce di stupirmi il fatto che imprevedibilmente, nei rapporti interumani, sembrino essersi comportati meglio i soldati dell’armata tedesca rispetto ai militari inglesi; tutti concordano, infatti, con questa opinione e sono molto eloquenti le testimonianze raccolte  dall’amico Vincenzo Di Nardo in una sua relazione, tra cui quella di mia madre Cesarina che riporto testualmente:

“I tedeschi si comportarono da padroni, ma arrivarono le truppe inglesi senza che le cose cambiassero: non esitavano infatti a sfasciare le serrature ed a fare man bassa di ciò che trovavano”

ma non va sottaciuta un’esperienza davvero traumatizzante della mamma; costretta infatti ad elemosinare per me un po’ di latte condensato presso le  cucine militari britanniche, se lo vide negare da un maggiore inglese che le fece rispondere da un interprete:

“Muoiono tanti bambini a causa della guerra che uno in più o uno in meno a Capracotta non farebbe alcuna differenza”.

Tutti, al contrario, molto lusinghieri i giudizi nei confronti dei soldati polacchi al punto che, secondo quanto mi hanno raccontato,  io debbo al loro buon cuore e alla loro umanità la mia stessa sopravvivenza; ma non si può certo generalizzare considerando  la drammaticità e la complessità di uno scenario di guerra: sono sempre il cuore e la coscienza morale dei singoli a fare la differenza.

   Che dire allora dei conflitti di cui tutti, nel mondo, sembrano aver dimenticato  le atrocità?

È più che comprensibile il pessimismo per cui, fermo restando  l’impegno per costruire e consolidare una cultura diversa, pare davvero impossibile sradicare dall’animo umano il genio della guerra: quel “polemos” reso ancor più aggressivo dalle tante contrapposizioni etniche, economiche o religiose che tristemente conosciamo.

Avviandomi alla conclusione, mi sembra tutt’altro che puerile rivolgere idealmente una domanda esistenziale alla persona cui maggiormente mi sento moralmente debitore: mia nonna materna Guglielma;

“Perché l’umanità non riesce a cancellare

dai propri orizzonti la piaga della guerra?

Sono certo che, nella semplicità della sua Fede, mi risponderebbe che essa è sempre dipesa e dipende dal peccato originale di superbia dell’uomo e della donna, allontanati per questo dal “Paradiso Terrestre”; avrebbe pure aggiunto, senza esitazione, che non si deve mai perdere di vista il traguardo finale della “salvezza eterna”, tanto più meritata quanto più è difficile il percorso per conseguirla.

Non va infine dimenticata una delle più consolanti tra le Beatitudini:

“Beati gli operatori di Pace, perché saranno chiamati figli di Dio”

(Mt 5,9)

pur precisando che questi ultimi non sono i “pacifici” che godono di una vita tranquilla, ma coloro che indirizzano tutte le loro forze all’agognato premio della pace; d’altro canto la Pace di cui parla il Vangelo, non è quella del mondo ma del cuore: fondata cioè sulla giustizia e sull’amore nei confronti di Dio, del prossimo e di sé stessi.

In definitiva, è terribile ammetterlo, le guerre e le violenze sono sempre e solo la proiezione esterna dei nostri conflitti interiori

Aldo Trotta