Capracotta nel Secondo conflitto mondiale: alcune considerazioni

Riceviamo e pubblichiamo la relazione tenuta dal Dott. Vincenzino Di Nardo in occasione del convegno “1943/2023: Capracotta, ottant’anni dopo” organizzato lo scorso 4 novembre dall’amministrazione comunale di Capracotta presso la sala convegni dell’Hotel Monte Campo per commemorare gli ottant’anni della distruzione del paese dall’esercito tedesco in ritirata durante la Seconda guerra mondiale.

Ad ottanta anni dai tragici eventi della guerra che investì Capracotta, la rilettura degli “Atti Del Convegno Capracotta 1943”, delle “Interviste e Testimonianze raccolte” dal compianto padre Mario Di Ianni, la lettura del libro di Eleonora Di Nucci sull’ “Eccidio dei fratelli Fiadino”, hanno suscitato in me una serie di considerazioni. 

TEDESCHI E INGLESI

A parte le incongruenze tra alcune testimonianze (evidenziate anche da E. Di Nucci), sono stato particolarmente sorpreso dall’unanime negativo giudizio degli intervistati nei confronti delle truppe inglesi, “i liberatori”, rispetto a quelle tedesche che avevano precedentemente occupato il paese, imposto la legge marziale, razziato il bestiame, rastrellato e trasportato gli uomini validi dietro la linea Gustav, minato e bruciato le abitazioni, costretto la popolazione a rifugiarsi nelle chiese e nel cimitero accanto alle tombe dei loro defunti fino a dormire nei loculi vuoti, fucilato infine i fratelli Fiadino.

Cito di seguito solo alcune delle testimonianze.

– “Il contegno dei tedeschi fu nel complesso abbastanza corretto; sia gli ufficiali, sia gli uomini di truppa stabilivano spesso con le famiglie rapporti di cordialità con scambio talora di piccole cortesie” (Ercolino Conti).

– Analogo giudizio esprime Elvira Santilli Tirone che aggiunge: “l’ultimo giorno della permanenza ci chiesero la scopa e dopo mezz’ora ci riconsegnarono la chiave del locale ben pulito e con i mobili sistemati nell’ordine in cui li avevano trovati. Furono occupate molte altre case e non si verificò alcun incidente spiacevole”.

– Ci raccontava Peppina Borrelli D’Andrea che Nicolino, primo figlio e nostro amico d’infanzia, aveva una infezione crostosa delle guance che non accennava a guarire; il medico dell’infermeria tedesca allestita nei locali dell’Asilo risolse in breve tempo, anche se in maniera brusca il problema. Peppina non fu l’unica persona del paese a rivolgersi a quel presidio sanitario.

Particolarmente interessante è l’autorevole testimonianza di Don Carmelo Sciullo, giovane ed infaticabile sacerdote, presente a Capracotta da settembre 1943 a giugno 1944, il quale portò conforto e sostegno anche nei paesi vicini. Gli fu concessa dal Comando alleato l’attestato di “Volontariato della Liberazione nell’Alto Molise nel 1943/44”; nel 1954 ricevette la Medaglia d’argento al valor civile nell’alluvione del 1954 in Campania ed andò poi Missionario salesiano in Argentina.

 “Bisognava nascondere la roba perché gli inglesi rubavano tutto quello che trovavano”.

– Conferma quanto sopra Don Leopoldo Conti, Parroco di Capracotta dal 1919 al 1945; persona mite e gentile, garbato, di indiscussa onestà e dirittura morale, era molto amato dai suoi parrocchiani.  “I tedeschi tolsero alla povera gente viveri, animali, ecc. Questi altri signori, che sono venuti dopo, hanno fatto tabula rasa di quel poco che c’era rimasto” (Don Leopoldo Conti).

– “L’inglese è più traditore del tedesco. Avevo quattro-cinque persone a carico e io solo a lavorare, spaccare la legna. Mi rubavano la legna e se la rivendevano intascando i soldi” (Giovanni Di Rienzo, Giuvannuccɘ).

— Inequivocabile la testimonianza della nostra “Levatrice” Cesarina Lanzoni, emiliana, “immigrata ben integrata”, sposata con Ottaviano Trotta e diventata capracottese a tutti gli effetti; donna loquace, simpatica, svelta, professionalmente molto competente. Aveva aiutato a venire alla luce tutti quelli della mia generazione e non solo:

 “I tedeschi si comportarono da padroni. Arrivarono le truppe inglesi senza che le cose migliorassero. Non esitavano a sfasciare le serrature ed a fare man bassa di ciò che trovavano” (Cesarina Lanzoni Trotta).

– “Gli inglesi presero tutta la roba di Capracotta contenuta nelle “casce”; le rompevano e mandavano i pezzi migliori in Inghilterra” (Giuseppe Carnevale, Peppɘ Paschittɘ).

– “Gli inglesi si facevano delle amicizie; prendevano da una casa della biancheria per regalarla ad altre persone ma la roba di valore se la tenevano per loro. I tedeschi non hanno avuto il tempo di toccare nulla; neppure le donne” (Donato Carnevale, Tattariegliɘ).

– “Molta gente fu portata nelle Puglie, qualcuno però rimase. Tra quel qualcuno rimasto e le truppe di occupazione, specialmente inglesi, fece(ro) man bassa di tutto perché il paese era rimasto in mano a poca gente” (Annina Di Tanna, moglie di Alberto Colaizzɘ).

Ho sentito altre volte in passato di compaesani che avevano in casa roba altrui!

– “Sono stati peggiori gli inglesi che i tedeschi. Con gli inglesi il paese era rimasto terra di nessuno; erano rimasti un centinaio di persone autorizzate e basta. Le carceri erano piene di sospetti fascisti. Per gli inglesi bastava un nonnulla per finire in carcere” (Santino Fiadino).

– Così conclude i suoi “Tristi ricordi” Nicola D’Andrea (zio Colitto):

Scappò il nemico, venne l’Inglese;

nuovo padrone, nuove pretese!

… Ordinò subito lo sfollamento,

senza ascoltare nessun lamento.

… Ed al ritorno da quella… gita,

tutti trovarono… Piazza Pulita!

Alla fine di tutto i capracottesi hanno avuto minor risentimento nei confronti dei loro “ex alleati” tedeschi, che avevano in fondo seguito la crudele logica della guerra ed applicato le sue spietate leggi, piuttosto che dei “nuovi alleati” inglesi. Questi, infatti, dopo averli allontanati da ciò restava del paese dove c’erano i loro defunti e le loro radici, li avevano anche depredati. Violazione inconcepibile della propria casa e della propria vita, ferita lacerante inferta loro dai nuovi “alleati e liberatori”, fu per loro l’apertura e il furto di ciò che gelosamente custodivano come tesori: le “casce” con i corredi delle loro figlie, frutto di tanti sacrifici fatti per “sistemarle”, “accasarle” e d avviarle verso un futuro forse migliore.

I POLACCHI

Partiti gli inglesi arrivarono i polacchi:

– “Fra le truppe che si alternarono nel nostro Paese furono particolarmente notate quelle polacche i cui uomini, simili a noi per sentimenti e condotta, la domenica gremivano la chiesa per ascoltare la messa” (Ercolino Conti).

– “In quei giorni le truppe inglesi erano state sostituite da quelle polacche e la mattina di Natale, andando a messa, ebbi la sorpresa di vedere la chiesa gremita di quei soldati. Durante la celebrazione del loro cappellano si commossero fino al pianto. Con il loro arrivo si attenuarono i nostri stenti; si compenetravano nelle nostre sofferenze e avevano compassione di noi” (Cesarina Lanzoni Trotta).

– “Subentrò agli inglesi un corpo di artigliere polacca e potemmo finalmente rientrare a casa nostra. Renato [D’Andrea] ed io conoscemmo i polacchi; pii e bestemmiatori. Di essi cogliemmo infatti manifestazioni di intensa religiosità ed imparammo parolacce ed imprecazioni che non furono facili da interpretare” (Antonio Di Nardo).

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I fratelli Rodolfo e Gasperino Fiadino

TRAGEDIE FAMILIARI

Nel dramma della guerra che travolse la vita di circa 30 giovani militari capracottesi (caduti o dispersi) oltre a quella di 10 civili morti a causa di mine o granate tedesche, risaltano dolorosamente alcune tragedie familiari.

– La fucilazione dei fratelli Rodolfo e Gasperino Fiadino, colpevoli di aver dato ospitalità (valore umano e cristiano radicato nella nostra comunità montana) ai militari inglesi fuggiti dal campo di concentramento di Sulmona (4 novembre 1943).

– La morte del capraio Adamo Fiore De Renzis (fratello di Lucia dɘ Mɘlionɘ) e di suo figlio Emilio di soli 11 anni colpiti da una scheggia di granata mentre erano giù alla “Dɘfenza” con le capre al pascolo (20 novembre 1943).

– Lo storia di Maria Nicoletta di Loreto (Culetta); il figlio Raffaele Sammarone, di 17 anni, fu ucciso da una mina calpestata dal suo cavallo il 5 novembre 1943; poco dopo l’altro figlio Filippo, militare di 22 anni e medaglia di bronzo al valor militare, cadde a Mignano Moltelungo il 15 febbraio 1944.

– Ancor più tragica vicenda di Francesco Paolo Potena, 35 anni, uno dei tanti soldati italiani sbandati, abbandonati e senza ordini dopo la firma dell’armistizio da parte di Badoglio. Fu fatto prigioniero in Grecia, deportato in Germania, internato ad Hildesheim e destinato ai lavori forzati. Il 22 marzo 1945 il bombardamento degli alleati colpì e distrusse un magazzino di viveri della Gestapo. I generi alimentari erano divenuti inservibili; gli stessi tedeschi di guardia al deposito avevano autorizzato a prendere le scatolette di formaggio. Perquisiti poi dalle SS, tutti quelli trovati in possesso di scatolette furono processati, condannati per “sciacallaggio” ed impiccati. Il Sergente maggiore Francesco Paolo Potena, con altri 207 prigionieri non identificati, finì interrato in una fossa comune nel cimitero di Hildesheim; lasciò tre piccoli orfani ed una vedova che, con notevoli sacrifici, hanno fatto onore alla memoria del loro congiunto.

La vita di una persona valeva meno di una scatoletta di formaggio”. (Lorenzo Potena, il figlio).                                  

“Il contadino Loreto Di Ianni dovette caricarsi sulle spalle la figlia agonizzante che arrivò morta al cimitero dove il padre da solo scavò la fossa per seppellirla” (Ercole Conti).

Scena da peste dei Promessi sposi!

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Dall’alto in basso (da sinistra a destra): Adamo Fiore ed Emilio De Renzis, Raffaele e Filippo Sammarone

SOLIDARIETA’ ED EGOISMO

– “Molti furono i prigionieri inglesi ed americani che cercavano di andare verso il sud dell’Italia: tutti venivano accolti molto bene dai nostri compaesani: sfamati, rivestiti, alloggiati e tenuti ben nascosti” (Don Carmelo Sciullo).

Concreta testimonianza di ospitalità dettero i contadini delle masserie: “ci accolsero con una ospitalità che ci commosse” (Elvira Santilli Tirone).

– Martino Di Rienzo, soldato di ritorno dalla Francia e di passaggio a Faenza, racconta dell’aiuto ricevuto dalle operaie dell’Agenzia della “Singer” le quali aiutavano i soldati sbandati italiani; li rifocillavano, fornivano loro abiti civili e se necessario li accompagnavano alla stazione ferroviaria sottobraccio, a mo’ di coppiette, per ingannare la sorveglianza dei soldati tedeschi.

– Un compaesano sta patteggiando l’acquisto di una gallina tenuta in braccio da una donna incinta che cerca di venderla per poter mangiare; Don Carmelo Sciullo assiste alla scena, si avvicina, dà alla donna quanto richiesto e le lascia l’animale: “Tieni la gallina perché ti necessita per quando nascerà tuo figlio”. La rivedrà dopo circa 20 anni e conoscerà anche il figlio.

Pasqualino Di Rienzo (Mɘscanzɘ) ricorda quando, prigioniero dei tedeschi a Ripa Teatina a scavare trincee, stava ripulendo un appartamento requisito per alloggiare i soldati quando trovò un involto di stracci che custodivano dell’oro (lui dice un chilo!). Lo restituì alla padrona di casa ricevendo in cambio la chiave della cantina; Mɘscanzɘ e i compagni l’apprezzarono più dell’oro!

– Nei pochi vani di casa disponibili la signora Cesarina Lanzoni, aveva allestito una sorta di “infermeria” per i malati più gravi ed una “sala da parto” nella quale videro la luce alcuni neonati. Sul portone di casa i tedeschi avevano dipinto una grossa croce rossa, segno che non doveva essere abbattuta (Cesarina Lanzoni Trotta e Don Carmelo).

Non sono purtroppo mancati episodi di egoismo. Racconta la sua esperienza Elvira Santilli Tirone in viaggio verso Campobasso: “A Bagnoli del Trigno chiedemmo alloggio ad un alberguccio. Ahimè! I padroni ci squadrarono con riluttanza e dichiararono senza preamboli: Non ci sono camere libere! Il volto però tradiva l’ansia di vederci uscire al più presto di lì”.

–  Qualcuno non fece onore nemmeno alla divisa che indossava. Nestorino Conti, Colonnello commissario in Albania, “aveva fatto man bassa; ai due poveracci che avevano scaricato dal treno 13 bauli veramente grandi non offrì neppure un caffè” (Donato Carnevale).

FATTI COMICI E TRAGICOMICI

Non mancarono episodi comici e tragicomici:

– La madre di Lucia De Renzis (Lucia dɘ Mɘlionɘ), Maria Rosa Ianiro, a seguito di una incornata del caprone bianco (zorro bianco) che il fratello capraio aveva per la riproduzione, era caduta a terra riportando ferite alla testa. Lucia aveva pensato bene di rivolgersi all’ “infermeria” dei tedeschi ma non parlava la lingua; al piantone della struttura così si espresse: “Matra mia, zorro bianco rotta capa, alcool!” Pare sia riuscita ad ottenere quanto richiesto (Peppina Borrelli D’Andrea).

– Ai lati della piazza della fontana di San Giovanni c’era la casa di Umberto Di Rienzo (Passarella), il quale era sordo; si era messo a dormire giù nella stalla, sotto l’arco di pietra che sosteneva il peso della struttura, con l’asino ed il maiale, circondati e protetti da balle di paglia. La casa era stata minata e fatta crollare (sdirupata); ai soccorritori accorsi “Cosa è successo. Madonna mia! Io non mi sono accorto di nulla”.  Non aveva avvertito nulla, aveva continuato a dormire. Fu comunque tirato fuori assieme all’asino ed al maiale (Donato Carnevale). A distanza di 80 anni l’arco è ancora lì, intatto e ben visibile!

– Parruzzettɘ, un arguto calzolaio, di fronte alle fiamme salite fino al tetto della casa, concluse desolato: “Chi poteva immaginare che la guerra da El Alamein dovesse un giorno finire fino al catenaro (soffitta) della casa mia!” (Ercolino Conti).

– Racconta Elvira Santilli che suo padre Ruggiero si era preparato con una mazza di ferro dietro il portone di casa pronto a difendere l’onore delle figlie in caso di necessità!

– Donna Michelina Conti aveva avuto distrutto il palazzo di famiglia ed era costretta a dormire su un materasso per terra in una masseria; animata da una profonda religiosità, pronta a qualsiasi sacrificio, faceva coraggio ai familiari: “Sopportiamo tutto per amore del Signore, anche San Francesco morì sulla nuda terra!” (Ercolino Conti).

– Alberto, unico dei fratelli Fiadino sfuggito alla fucilazione tedesca, fu percosso a sangue per ben due volte: dai tedeschi per aver tentato la fuga la sera in cui questi piombarono nella masseria per arrestare lui e i fratelli; da un soldato inglese poi, la Domenica delle Palme del 1944. Era stato scambiato per un fascista poiché vestiva il lutto indossando una cravatta nera! Scene da film comico alla Charlie Chaplin: comico se non fosse stato tragico.

Di quei tragici eventi c’è anche la testimonianza un po’ esagerata, “vantasciara”, ma in buona fede, di Giovanni Monaco (Cuzzɘlicchiɘ). Possedeva una pistola trovata, a suo dire, per strada e vista, a causa di una sua distrazione, dal graduato tedesco lì presente. Racconta di essere stato arrestato, condannato e processato a morte per non averla consegnata. Rinchiuso in una stanza a pian terreno con 18 tedeschi, la mattina successiva, alle cinque, riuscì a fuggire. Tornò di soppiatto a casa per prendere il fucile (un automatico 91 con ben 8 caricatori). Il bando emanato dai tedeschi diceva: “Tutta la popolazione deve ricercare Giovanni Monaco che è sfuggito ai tedeschi altrimenti automaticamente sarà decimato il paese”. Seguono poi diversi fatti raccontati con enfatica esagerazione tra cui il possesso di un fucile mitragliatore datogli dal maresciallo dei carabinieri e con il quale era pronto ad uccidere la sentinella in procinto di dare fuoco alla casa; l’avrebbe dissuaso un amico ammonendolo sulle conseguenze di un tale gesto. Racconta poi l’interramento di una mitragliatrice e di 60 fucili che sarebbero stati in dotazione ai carabinieri del paese oltre ad una serie di altre peripezie poco credibili.

DON FILIBERTO CASTIGLIONE

Una menzione particolare merita la figura del dottor Filiberto Castiglione, farmacista e Podestà del paese, da tutti stimato. Durante l’occupazione tedesca aveva nascosto in casa alcune persone, tra cui ufficiali italiani; si occupava di loro la moglie. Con l’arrivo degli inglesi fu arrestato e portato al confino a Padula (SA) assieme ad Amatonicola Di Rienzo (Matɘnicola) l’8 dicembre 1943. “Vedere Don Filiberto al lato della cappella di S. Antonio, in un camion, seduto così come uno qualunque, come uno che aveva fatto del male ed invece no!”. Non gli permisero nemmeno di salutare la famiglia (Don Carmelo Sciullo).

“Non aveva mai fatto del male a nessuno” (Ercolino Conti).

Persona affabile, loquace, colta, lo rivedo ancora quando, in villeggiatura l’estate nella piazza del paese, giocava a carte con gli amici animatamente ma evidentemente soddisfatto e divertito.

 Vincenzino Di Nardo