Le campane e il loro misterioso linguaggio

La campana più antica di Capracotta. Foto: Cesare Di Bucci

È stata di nuovo una motivazione occasionale a suggerirmi i ricordi e le riflessioni che cerco di racchiudere in un breve racconto; e, pur non essendo un appassionato né un esperto dei moderni sistemi di comunicazione audiovisiva, debbo riconoscere che è stato proprio un breve filmato ricevuto sul telefono cellulare a catalizzare stavolta i miei pensieri.

È accaduto durante la scorsa festività di Pasqua quando alcuni amici, che condividono con me la nostalgia per il caro paese di nascita, mi hanno fatto pervenire un video-clip del campanile della Chiesa grande, a Capracotta, con le sue campane che suonano a festa.

Non posso certo ripercorrerne la storia antichissima né, tanto meno, affrontare il complesso argomento delle procedure tuttora seguite per la loro costruzione, ma sarei lieto se dalle mie parole trasparisse il mio ineffabile legame con il loro suono ed il loro arcano “linguaggio” che ho imparato a conoscere e ad amare sin da bambino.

Rileggevo che il termine “campana” in lingua italiana è in realtà un vocabolo latino, che significa “vaso di bronzo” e sant’Isidoro di Siviglia fa risalire questo nome proprio ai suoi primi costruttori, originari della regione Campania, mentre la prima testimonianza scritta dell’esistenza delle campane si ritrova nella Bibbia con Aronne, il fratello di Mosè.

In ogni caso ho cercato di migliorare le mie conoscenze su questo argomento sebbene fosse vivo, tra i miei ricordi più belli, quello di aver assistito alla fusione di una grande campana presso la famosa “Pontificia Fonderia Marinelli” di Agnone; quest’ultima, come tutti sanno, è una vera eccellenza molisana anche in ambito internazionale, ma ignoravo imperdonabilmente che a questa attività  più artistica che artigianale avessero dato lustro, nei secoli scorsi, anche diversi cittadini capracottesi.

Di essi ha parlato estesamente l’amico Francesco Di Rienzo ricordando, per esempio: 

  •    Donato Antonio Perillo che nel 1481 realizza una delle cinque campane del campanile della chiesa di san Germano a Cassino, denominata “Lo Squillone”.    
  •    Nicola da Capracotta che nel 1566 costruisce la vecchia campana della chiesa parrocchiale di Roio del Sangro. Oggi, questa campana non è più in funzione ma esiste ancora: è esposta nell’atrio della chiesa.
  •    Donato Antonio Petrillo che, nel 1571, costruì la “campana vecchia” della chiesa di santa Maria Assunta a Pietrabbondante.

Nel passato remoto era poi consuetudine che alcune delle campane fossero costruite accanto al luogo in cui sarebbero state collocate; era spesso possibile, infatti, reperire in loco alcuni dei materiali utilizzati ma, soprattutto, era più semplice trasferire le maestranze piuttosto che trasportare carichi molto pesanti e delicati.    

È quanto ricorda Paola Patriarca Marinelli in un suo racconto dedicato alla laboriosa collocazione, nel 1909, della campana più grande, il cosiddetto “campanone”, a Capracotta:

   “davvero imponente con i suoi 10 quintali di peso ed il diametro di 120 cm.; essa, a più 100 anni, conserva visibilissimi gli eleganti rilievi dedicati alla Madonna e il suono prolungato e possente che distingue le campane fuse nella millenaria officina di Agnone”;

Dispiace molto, peraltro, ricordare che già in occasione della prima guerra mondiale e poi della seconda furono emanati decreti per la cosiddetta “spoliazione delle campane”; erano finalizzati al disgraziato riutilizzo dei loro metalli per la costruzione di cannoni come di altre armi e le popolazioni italiane, pur contrastandoli in mille modi, furono obbligati ad accettarli.

Non mancano, a tale riguardo, diverse leggende che narrano come, in alcune località i bronzi, pur sepolti e interrati nel tentativo di sottrarli al saccheggio, continuassero prodigiosamente a far sentire la loro inconfondibile voce; tornando ora al linguaggio delle campane è quasi puerile ricordarle come veri e propri orologi che, in passato, scandivano le diverse ore della giornata: ad esempio i rintocchi dell’ Ave Maria al mattino, a mezzogiorno e infine alla sera cui si rispondeva, in genere, con il segno della Croce. E non è certo casuale che il primo nome accertato del loro suono fosse proprio “segno”.

Da tempo immemorabile, comunque, le campane accompagnano i momenti centrali della vita del singolo e della comunità: dalla nascita ai funerali ed è assai inquietante il timore che la loro diffusione possa andare, sempre più, riducendosi; a Capracotta o nella sua immediata periferia c’erano e ci sono tuttora ben 4, piccole Chiese consacrate, ciascuna con le sua pur modesta campana, ma di ognuna di esse, sembra quasi incredibile, riuscivo a distinguere il suono e la provenienza.

S’intende che il campanile cui venivano affidati i messaggi più importanti restava quello della “Chiesa Madre” e si passava, così, dallo scampanio “a distesa” per i giorni di festa, a quello “a martello” come avviso di pericolo, infine a quelli per gli eventi luttuosi”; a riguardo di questi ultimi leggevo, ma è solo una curiosità, che in alcune località si riusciva persino a conoscere il sesso del defunto: se era uomo, la sequenza terminava con tre rintocchi ravvicinati, se invece era donna solo con due.

Il decesso dei bambini, invece, cosa molto frequente in passato ma fortunatamente assai più rara ai giorni nostri, era segnalato con dei battiti singoli della campana e mi risulta che per i piccoli defunti, forse solo a Capracotta, essi fossero definiti “rintocchi di gloria”:quasi per indicare la certezza della loro immediata beatificazione.

Un cenno ancora alle diverse modalità con cui si suonavano le campane, naturalmente più complesse e articolate nei campanili di città importanti e dotati; è comprensibile, a tale riguardo, che siano state costituite e che sopravvivano tuttora delle vere e proprie associazioni di “musicisti” il cui ruolo e la cui maestria sono andate progressivamente crescendo; mi giunge anzi notizia che per il 4-5 maggio p.v. è stata organizzata ad Agnone una manifestazione di grande interesse, purtroppo anche di grande attualità, intitolata “Rintocchi per la Pace”.  

Il suo programma prevede, naturalmente, anche un “Raduno nazionale dei suonatori di campane” e vale la pena di sottolineare che al loro  inconsueto genere musicale è dedicata una vastissima letteratura; io posso solo ricordare che vengono utilizzate, già da tempo, delle avveniristiche tastiere azionate un po’, come quelle di un organo, da diversi “campanari”; nessuno me ne vorrà, tuttavia, se il mio speciale pensiero di riconoscenza si rivolge a una sola persona che ha svolto la sua opera quando il funzionamento delle campane non era certamente automatizzato.   

Si tratta della cara signora Carmela Venditti Liberatore (soprannominata “la Cèntrella”) che, come scrive Paola Patriarca Marinelli:

   “invecchiando   non era più in grado di scalare diverse volte al giorno, nelle ore canoniche, la maestosa torre. Tuttavia la campana più grande di Capracotta non aveva mai smesso di suonare grazie all’artificio della devota zia Carmela che ne aveva legato il battaglio con una spessa corda che raggiungeva la finestra della sua casa, posta esattamente di fronte al campanile”.

Resta per me indimenticabile, infatti, l’emozione di una volta in cui, ormai tanti anni fa, salivo lungo la gradinata che conduce alla Chiesa; purtroppo non avevo più la mia residenza a Capracotta ed era un giorno in cui la neve e la tormenta impedivano di accorgersi della corda e del suo cadenzato andirivieni: il suono del “campanone” pareva, così, davvero prodigioso!

Avviandomi infine alla conclusione, non ho trovato nulla di meglio cui attingere se non la prefazione del volume di Silvia Bre dedicato alle campane e vincitore, tra l’altro, del premio letterario “Strega” 2022:

   “Nella vita siamo attirati da distanze che ci chiamano, che non vediamo e non conosciamo, come da un suono di campane lontane: un suono remoto, misterioso, un battito originario, nei cui rintocchi la parola poetica nasce e ritorna, ogni volta, per dissolversi. Dalle campane prendono origine ritmi che scorrono sotterranei alla vita ma che della vita, non solo individuale, sono la linfa nascosta”.

Aldo Trotta