Aldo Trotta e Michelino Potena sulle ciaspole a Capracotta
Come molti hanno sottolineato, quest’anno non ci siamo praticamente accorti della stagione invernale: a maggior ragione qui a Montesilvano, sulla costa adriatica, ove era stato necessario che trasferissi la mia residenza; ha fatto molta impressione, inoltre, che rispetto al passato, il clima sia stato così anomalo anche in montagna da riproporre nella sua attualità il fenomeno del riscaldamento globale.
Non è un caso che a gennaio scorso avessi intitolato un mio racconto: “Ci lascerà orfani la neve?” perché trascorrendo qualche giorno nel mio paese di nascita, a Capracotta, pensavo che sono sempre meno frequenti e copiose le nevicate e soprattutto che il manto nevoso tende a dissolversi rapidamente; e pensare che negli anni ’50, quando ero bambino, una cosa del genere sarebbe parsa impossibile! Si stenta a crederlo, ma i ragazzi e i giovani che mantengono la gloriosa tradizione capracottese dello sci di fondo, sono costretti a servirsi per i loro allenamenti dei cosiddetti “ski-roll”: non molto diversi, in effetti, dai comuni pattini a rotelle ma utilizzabili su strade asfaltate e con elevato rischio di cadute; di anno in anno, inoltre, aumenta il rischio di vedersi annullare, anche a 1600 m. di altitudine, delle importanti competizioni sportive. Sono questi i motivi per cui nel mio pensiero, già malinconicamente rivolto al passato, rimpiango l’inverno di tanti anni fa: a maggior ragione quando le prime avvisaglie della canicola estiva mi rendono ancor più irritato e insofferente; si può immaginare, infatti, quanto grande sia il disagio di sentirmi ormai privo del mio elemento naturale, la neve appunto, fino a soffrirne come per una “sindrome da astinenza”. Eppure, a Capracotta suscitò molto clamore il fatto che, il 5 marzo 2015, fossero caduti 256 cm. di neve in meno di 24 ore; era forse stato superato anche un precedente record, registrato a Silver Lake nel Colorado, in cui i cm. caduti erano stati 193 ma, di fatto, non mi risulta che il nostro evento sia stato riconosciuto ufficialmente; in ogni caso, non posso dimenticarlo, quella fu l’ultima occasione in cui ebbi la gioia di fare una meravigliosa escursione sulle “ciaspole” e ora, avendo tanto tempo disponibile, mi hanno incuriosito gli aspetti scientifici della neve che, lo confesso, avevo sempre trascurato negli anni in cui, al contrario, ne cadeva anche troppa; è proprio vero che ci appassioniamo maggiormente alle cose di cui stiamo soffrendo la mancanza.
In tutta sincerità, mi sforzo di dissimulare la mia delusione e lo avrei fatto a maggior ragione adesso, all’inizio dell’estate, un po’ imbarazzato di rimpiangerela neve anche a giugno; in questi giorni ha invece attirato la mia attenzione una recente, bellissima foto invernale di Capracotta e mi sono lasciato cullare dall’ennesimo “sogno ad occhi aperti”. Ha forse contribuito anche il fatto che, in questo periodo, sono stati trasmessi diversi programmi televisivi dedicati proprio alla “nivologia”; uno studioso svizzero di fama internazionale, il Dottor Henning Löwe, scrive:
“Calda e fredda, dura e soffice, la neve è un materiale contraddittorio ed essendo soggetta a una costante trasformazione, anche le sue caratteristiche variano, di conseguenza, molto velocemente. La neve si forma quando le goccioline presenti nelle nubi ghiacciano e il vapore acqueo si condensa intorno a questi germi cristallini passando dallo stato gassoso a quello solido e formando cristalli di ghiaccio. A seconda poi delle condizioni ambientali, questi possono essere a forma di ago o di stella, anche se tutte le forme hanno in comune la struttura esagonale, mentre ognuno di essi è unico e diverso dagli altri. Con il suo diametro di appena un millimetro, un cristallo di neve contiene circa 100 trilioni di molecole d’acqua: la probabilità che due cristalli abbiamo una struttura identica, cioè che tutte le molecole si trovino esattamente nella stessa posizione, è quindi estremamente bassa. Quando durante la nevicata i cristalli cadono al suolo, si forma un materiale molto complesso; inizialmente la neve è per lo più soffice e debolmente coesa, ma dopo un po’ i cristalli diventano più grandi e si uniscono nei loro punti di contatto”.
Tutto ciò mi ha fatto ripensare alle parole dialettali di Capracotta per indicare i diversi tipi di neve; per esempio allo strano aggettivo “masculina” (mascolina) che indicava forse la sua particolare consistenza per la precoce formazione, già durante la sua caduta, di piccoli cristalli di ghiaccio. E molti erano anche i modi di dire assai caratteristici; ad esempio:
“La nève d’abrilɘ è comɘ le panɘ sopra rɘ mantilɘ” – (La neve di aprile è come il pane sulla tovaglia); a significare forse che sparisce subito come il pane sulla tavola o piuttosto che, nel periodo primaverile, è assai preziosa per le coltivazioni. A questo punto, mi sarebbe piaciuto approfondire le mie conoscenze scientifiche, ma ho preso atto di quanto sia complessa la “nivologia”, che presuppone un ottimo livello di preparazione in fisica e in chimica; perciò, dimenticando ogni pretesa culturale, sono tornato all’emozione dei vecchi ricordi e, in particolare, all’esperienza di un giorno in paese, nel largodi San Giovanni, quando mi piacque a farmi sballottolare qua e là dal vento durante una tormenta di neve. Indossavo il vecchio mantello a ruota di papà Ottaviano esembravo davvero barcollare come un ubriaco con i pochi passanti che mi guardavano sbalorditi; in seguito sono state purtroppo poche le occasioni analoghe ma, ogni volta che potevo e quasi pregando che cominciasse a nevicare, mi affrettavo a raggiungere Capracotta nell’ansia di ritrovare quello scenario incantato e di “farmi ricoprire di candore”. Con il mantello nero infatti, divenuto bianco per la neve, avevo l’impressione di sollevarmi in alto come un “aquilone” e certamente qualcuno, magari senza riconoscermi, avrà pensato che fossi impazzito: quei momenti restano certamente tra i più belli che io ricordi; se non ne fossi sicuro, d’altro canto, mi vergognerei di rimpiangerli così fuori tempo, all’inizio dell’estate. Al contrario, se un prodigio me li facesse rivivere, quei passanti mi ascolterebbero gridare le meravigliose parole della scrittrice Anna Pinna:
“Trovami un rifugio montano dove non piove ma nevica soltanto,
fammi ricoprire di candore e dammi un respiro profondo.
Aria pulita e tersa dove ritrovare la mia anima dolce e brillante.
Tu non cercarmi.
Io sto bene qui e non ho bisogno di altro” .
Aldo Trotta