La condizione sociale delle donne capracottesi nello studio di Luciana D’Andrea

Oggi, 8 marzo, si celebra la Giornata Internazionale della Donna per sottolineare la lotta per i diritti delle donne, in particolare per la loro emancipazione, ponendo l’attenzione su questioni come l’uguaglianza di genere, la violenza e gli abusi contro le donne.

Nell’anno accademico 1993-94, la nostra compaesana Luciana D’Andrea ha condotto uno studio sulla condizione sociale delle donne residenti a Capracotta per la sua tesi di laurea in Servizio Sociale presso l’Università “La Sapienza” di Roma. L’approccio utilizzato è stato quello del metodo biografico e delle storie di vita narrate da donne anziane, meno anziane e giovani adulte. L’analisi, integrata con i cambiamenti avvenuti nei dieci anni successivi, ha dato i seguenti risultati:

  • La posizione di subalternità della donna nei confronti con l’uomo capo famiglia è decisamente cambiata. Nel Dopoguerra era normale vedere, di ritorno dai campi, l’uomo a cavallo del suo asino e la donna seguire a piedi, spesso, anche con ceste o sacchi di legumi sulla testa. Oggi c’è pari dignità e la collaborazione maschile, in particolare nelle giovani coppie, alle faccende domestiche sta prendendo piede.
  • La donna capracottese conserva integre le sue qualità gestionali della famiglia, dedicandosi con responsabilità alle faccende di casa, alla cura dei figli e contribuendo alle entrate della famiglia con il lavoro nei campi, quando, si coltivavano i terreni, con lavori di cucito e ricamo e con reddito monetario in tempi attuali. La laboriosità rimane ancora un tratto distintivo della sua personalità.
  • La donna, oggi, vive più naturalmente l’esperienza sessuale. L’amicizia è sempre stata un valore, fortemente condiviso da tutti i compaesani. Il matrimonio è ancora un sacramento a cui si crede. È ancora in vita l’usanza del corredo. Il pranzo nuziale ha subito un’evoluzione legata alla maggiore ricchezza delle famiglie nel corso degli anni, ma, anche in passato, la cerimonia civile è stata corposa ed allargata a tutta la popolazione. Non esisteva il viaggio di nozze, oggi è a portata di tutte.
  • Il livello d’istruzione delle donne negli ultimi cinquant’anni è cresciuto. L’analfabetismo, comunque, a Capracotta per entrambi i sessi è stato sempre molto circoscritto. La maggioranza della popolazione ha sempre saputo leggere e scrivere.
  • Alle donne continua ad essere demandato, per i decessi che avvengono in casa, la pulizia e la vestizione del caro estinto. Il vestirsi di nero in segno di lutto per la morte di parenti è più sentito nelle persone anziane (alcune anziane vedove se lo portano sino alla morte). Nelle nuove generazioni è limitato nel tempo ed è meno marcato.
  • Le donne più giovani soffrono l’indifferenza dei maschi nei loro confronti (pensano troppo alle carte), soffrono l’assenza di strutture sociali dove potersi ritrovare e divertirsi, si lamentano per i pettegolezzi che spesso girano sul loro conto e per le rivalità che insorgono tra di loro, soprattutto, quando uno di esse frequenta qualche ragazzo. Questo, però, non deve indurre a considerazioni di sottosviluppo sul rapporto uomini donne in paese. C’è sempre stata libera frequentazione tra i due sessi, in particolare, nei mesi estivi e nei periodi di festa più importanti. Le comitive composte da ragazzi e ragazze sono sempre state un punto forte della mentalità aperta capracottese. Qualcuno obietterà che per tutte non era così
  • La rarefazione umana è desiderio di fuga per alcune, per altre, invece, la tranquillità del posto è incentivo a rimanere.

Ecco alcune tra le risposte più significative date dalle intervistate a Luciana D’Andrea:

«Mia madre mi faceva da padre e da madre. Cioè a tutti noi, e quindi era lei che gestiva tutto quello che serviva in casa, anche cose cioè che fanno gli uomini generalmente».

«Prima qui z’ spanneva la dodda, si lavava la roba, si stirava e si metteva tutto sopra alle tavole e s’appendeva tutto, le coperte, la vestaglia della prima notte. C’erano le parure che so le camicie da notte, s’appendevano tutte belle appese, tutte piegate. Poi c’erano le scarpe, le calze e tutto s’appendeva».

«Quando la dodda era esposta andava il padre dello sposo e la mamma, portavano i parenti più stretti e valutavano quella biancheria, il valore della biancheria, pezzo per pezzo».

«Avveniva il matrimonio poi dopo venivano tutti i parenti dello sposo a prezzare il letto e poi dopo che sono venuti a prezzarlo si porta il letto a casa dello sposo e poi si va tutti i parenti della sposa a fare il letto. Ma quelli più stretti».

«Aspiro soltanto di andare a lavorare a qualche parte, cioè qualsiasi lavoro e andare via».

«Noi dovevamo ubbidire a quello che diceva lui, mio padre. Sennò mi menava le botte. Solo lui comandava. Gli dovevamo pure cacciare le scarpe la sera. Le figlie femmine e la moglie avevano questo compito di sciogliere le scarpe al padre».

«Una sera papà tornò ubriaco. Dovevamo stare tutti in piedi. Se veniva a mezzanotte, tutti dovevamo stare alzati. Tutti intorno al focolaio, pure la mamma sua. Poi se avevo le botte io, nessuno poteva dirgli “fermati”. Poi quando si era saziato diceva “a dormire su”».

«Ci sono le ragazze da un lato e ragazzi dall’altro. C’è questo distacco perché i ragazzi pensano che noi ragazze quando vengono altri ragazzi da fuori, diamo più importanza a loro, quindi, li trascuriamo i ragazzi di Capracotta. Invece non è così. Cioè noi ragazze pensiamo la stessa cosa. Ci sentiamo trascurate e tradite a vicenda. Pensano che la gente di fuori possa influire sulla nostra amicizia, invece non è assolutamente vero, almeno per noi. Noi avremmo voluto un’integrazione, ma loro si distaccavano. Arrivava ad esempio una persona da fuori ed erano interessati magari a frequentarla perché era tantissimo tempo che non la vedevano e allora si distaccavano da noi; noi stiamo sempre qua e la novità li attraeva di più».

«Qui molte donne si mostrano e si fanno vedere. Dicono: “Io ho il pantalone, ho la pelliccia, le scarpe firmate”. Magari se ce l’ha un’altra non se la mettono più».

«Papà andava a lavorare in campagna e pure noi dovevamo andare a lavorare per portare la baracca avanti».

Bibliografia:

M. Di Rienzo, Il Diario di Capracotta, s.i.p., 2006