R’ zéngare de Capracotta

“Finita la transumanza o brigante o emigrante”, recita un detto famoso. In effetti, dopo l’Unità d’Italia, alcuni cittadini del Sud scelsero di fare i briganti, tanti altri emigrarono. A Capracotta, quei pochi che scelsero di darsi al brigantaggio lo fecero a seguito dei moti del 1860 mentre tutti gli addetti in soprannumero  gradatamente riconvertirono il loro mestiere o emigrarono verso le Americhe fino all’avvento del fascismo. Tra le due guerre mondiali il fenomeno dell’emigrazione si attenuò per scelta politica nazionale e tutto il paese fu costretto a  riconvertire la propria economia, legata ancora in minima  parte alla pastorizia e soprattutto all’agricoltura. Tutte le terre, anche le più disagiate,  furono utilizzate  e  in quegli  anni la quasi totalità della popolazione visse in una miseria diffusa ai limiti della sopravvivenza. Terminata la Seconda Guerra mondiale, l’emigrazione riprese  forza, svuotando drammaticamente il paese.

Non credo che esistano famiglie che non furono coinvolte  nel fenomeno dell’emigrazione. Fatto sta che i capracottesi furono soprannominati zingari dagli abitanti dei paesi vicini, cosi come quelli di Agnone furono indicati come “callariare” (produttori di grosse conche di rame)  e quelli di Isernia “cepulliare” (produttori di cipolle): a ogni paese un soprannome per indicare, certamente in modo bonario e non dispregiativo, le caratteristiche peculiari della sua popolazione. “Zéngare de Capracotta”: ascoltavo da piccolo con curiosità  ed anche con una pizzico di orgoglio le storie di un popolo che, nonostante le infinite difficoltà, era riuscito a sopravvivere  in una terra ostile, di un popolo  che quando era costretto a cercare altrove lo spazio e i mezzi necessari per vivere decorosamente, lasciava il segno di onestà e laboriosità  formando anche piccole comunità di residenti sempre pronte a dare una mano a chi, dal paese, li seguiva.

Sparsi dappertutto, i capracottesi però difficilmente tagliavano le proprie radici e trasmettevano ai discendenti l’amore per la terra abbandonata a malincuore. Erano detti “zingari” proprio perché, al pari del popolo dei veri Zingari, erano disseminati dappertutto anche se, a differenza di essi, nomadi e figli del mondo, non sono mai stati senza patria e senza radici: le loro erano sempre lì sulla Terra Vecchia, tra Monte Campo e Monte Capraro.

Ho ascoltato spesso con attenzione le storie di emigranti capracottesi e  delle enormi difficoltà superate per ambientarsi in posti nuovi. Anche mio padre mi raccontava spesso che i vecchi capracottesi  ricordavano ai ragazzi che  anche nel  più sperduto angolo del mondo, in qualunque posto e in qualunque paese, se c’erano le condizioni favorevoli, lì c’era un nucleo di capracottesi. Inoltre, ammonivano i giovani che andavano via di non fermarsi dove  non c’era neppure un capracottese: era quello il segnale che il posto era  inospitale e che era meglio proseguire anziché fermarsi.

Pasqualino Cecélla (Pasquale Sozio), qualche anno fa, mi raccontò una storia emblematica. Tra la Prima e la Seconda guerra mondiale partecipò con la squadra agonistica dello Sci Club Capracotta a una gara di fondo in uno sperduto paesino arroccato sulle Alpi. Fu un’ardua impresa, diceva, solo per arrivarci con tanta neve. Non solo si sentiva fuori dal mondo ma non capiva assolutamente nulla della lingua del posto. Nell’attesa della gara, girovagando per le stradine innevate, insieme agli altri atleti della squadra, si infilò in un negozietto, un piccolo emporio, forse l’unico del luogo. Una procace e bella  ragazza serviva i clienti e si può solo immaginare quante pesanti e piccanti frasi  scambiò  con gli scanzonati amici, in stretto dialetto  capracottese, per sottolineare tanta bellezza e tanta avvenenza, tanto erano sicuri che nessuno avrebbe capito. Uno di loro improvvisamente si buscò un preciso ceffone dal padrone del negozio che però capì perfettamente quanto dicevano e non aveva apprezzato certamente tali pesanti complimenti. Mai Pasqualino e gli altri atleti, avrebbero potuto immaginare che  il padre di quella bella ragazza fosse  proprio di origini capracottesi!!!

Domenico Di Nucci