Si raccontava a Capracotta.
Come è noto il vescovo di Capracotta risiede a Trivento.
I rapporti tra il Clero di Capracotta e il vescovo non sono mai stati buoni, ma ciò non ha mai impedito che le funzioni liturgiche e le cerimonie seguissero le norme che facevano parte della tradizione religiosa cristiana.
Tra esse quelle della Cresima che erano anche un’occasione per consolidare rapporti di comparanza con familiari o amici che per i motivi più disparati erano costretti a vivere lontani dal paese.
Perciò la Cresima era spesso un momento straordinario per legare con un gesto simbolico il futuro di un bambino alla protezione di un parente o una persona importante che per quella occasione speciale veniva dalla Puglia.
Il giorno stabilito il Vescovo, vestito con gli abiti delle cerimonie solenni, con la mitra e il bastone pastorale, assistito dal parroco che reggeva il vaso dell’olio santo che sarebbe servito all’unzione della fronte del cresimando, si pose sul gradino più alto dell’altare dell’Assunta.
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I bambini si erano sistemati in basso, tutti allineati, in maniera che il padrino potesse appoggiare la sua mano destra sulla spalla destra del ragazzo e farsi garante della promessa.
Per questo motivo la Cresima viene chiamata “Confermazione” e viene associata simbolicamente all’arruolamento dei giovani tra i soldati della Chiesa.
Il tutto anche con una verifica, sia pure formale, delle qualità del padrino.
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Perciò il Vescovo, con toni anche scenografici, rivolge alcune domande la cui risposta in genere viene concordata durante le prove nei giorni che precedono la cerimonia.
Domande semplici che fanno parte del bagaglio culturale di qualsiasi cristiano.
Quella volta accadde che per contingenze inderogabili il padrino non potette partecipare alle prove in parrocchia.
Anzi arrivò in chiesa proprio mentre la cerimonia della confermazione stava iniziando.
Gli fu detto di porsi dietro il ragazzo e di appoggiare la mano destra sulla sua spalla destra e di fare come facevano tutti gli altri.
Sicché, seguendo la fila, si trovò, come gli altri, al cospetto del vescovo che ad alta ed intellegibile voce gli pose la fatidica domanda di dottrina: “Chi è Dio?”.
Un momento drammatico mentre il vescovo lo guardava negli occhi aspettando la risposta.
Un frammento di tempo interminabile per una domanda alla quale, onestamente, non era facile rispondere.
Nessuno suggeriva una soluzione.
A questo punto il padrino, superato l’attimo di panico, non esitò a giustificarsi: “Eccellenza, ma io mo’ sono arrivato da Cerignola…”.
Franco Valente