Pensando alla Croce di Monte Campo e al suo compleanno

Negli anni scorsi, a fine ottobre, ero impaziente di trascorrere un breve periodo di tempo a Capracotta, sia per una visita ai nostri cari defunti al Cimitero, sia per la gioia di riassaporare la serena  atmosfera di paese; e non mancava quasi mai un’escursione a monte Campo, nell’incanto autunnale dei suoi boschi.

Ora, purtroppo, mi è pressoché impossibile farlo ed è superfluo che ne racconti i motivi: ripeterei le stesse cose accrescendo a dismisura, piuttosto che contenerla, la mia…malinconia; oltre tutto in questi giorni mi ha particolarmente emozionato l’annuncio di una cerimonia programmata per celebrare i 40 anni dalla collocazione più recente della nuova Croce, avvenuta all’inizio di novembre del 1982.

Dio sa quanto mi piacerebbe non mancare a questo appuntamento che ancora una volta, invece, mi sarà precluso, ma ho voluto cogliere l’occasione per ripercorrere la lunga  storia della Croce su quella cima a noi tanto cara e mi è parso incredibile che, già all’inizio del secolo scorso, ce ne fosse già una alta 13 metri; pur essendo di legno, aveva resistito per oltre 10 anni alle intemperie climatiche fino a che non fu distrutta da un fulmine nel 1911 e sostituita nel 1930 con un’altra di ferro: a sua volta abbattuta dal vento e dalla tormenta nel 1981.

Non si poté fare altrimenti che lasciarne i resti tra le rocce, poco lontano, che furono poi lentamente ricoperti dalla folta vegetazione, giacché non era facile, allora, una decisione più ecologica: è stata perciò ammirevole la recente iniziativa di recuperarla, ripulirla e ricollocarla poi, così piegata com’era rimasta, ai bordi della strada verso prato Gentile con diversi altri simboli storici del nostro paese.

Si è giunti infine alla splendida e robusta Croce attuale e mi associo agli auguri di tutti i capracottesi per il suo 40° compleanno: facendo voti che

tante altre generazioni possano goderne; è grandissima la mia riconoscenza nei confronti degli amici che si sono prodigati per progettarla, costruirla e trasportarla: specie  quelli che, purtroppo, non sono più tra noi, ai quali va il mio più affettuoso ricordo.

Ho avuto la curiosità di leggere diverse notizie che riguardano le cosiddette “Croci di vetta”, come vengono ora definiti questi simboli religiosi delle montagne, in particolare quelle dell’arco alpino; è un errore, tuttavia, ritenere che si  trovino solo su cime molto elevate anche se, in effetti, sono più numerose  quelle collocate oltre i 2000 metri.  

Anche la prima di esse in assoluto, secondo gli storici, sorgeva sul monte Olimpo (non quello della mitologia greca), a  soli 1950 metri: si voleva che fosse la Croce del “buon ladrone” crocifisso insieme a Gesù e portata a Cipro da sant’Elena, la madre dell’imperatore Costantino. 

Qui in Italia basta pensare, per esempio, alla Croce del monte Amiata, con la stessa altitudine di monte Campo e inaugurata proprio nel 1900, oppure a quella del monte Gorbea, sui Pirenei, a 1492 metri s.l.m.

Sorvolo, naturalmente, sul significato storico, culturale e soprattutto religioso di questa tradizione sulla quale tanto è stato scritto e documentato: non voglio certo annoiare, ma sottolineo il mio dispiacere perché, ormai da tempo, vi sono correnti di pensiero molto ostili ad essa per i più diversi motivi ideologici: fino al punto da ispirare, per fortuna di rado, veri e propri atti di vandalismo  sacrilego.

Mi ha davvero sorpreso, inoltre, ricordare l’esistenza del cosiddetto “libro di vetta”, uno speciale registro che si può trovare sotto alle Croci delle cime più elevate ed impervie; sono relativamente pochi, infatti, i valorosi alpinisti che possono raggiungerle apponendovi le loro firme ed è comunque necessario che il volume rimanga dentro robuste “cassette di vetta”; da queste ultime, cui viene garantita la manutenzione anche per proteggerle delle intemperie, vanno periodicamente prelevati e conservati altrove i registri esauriti.   

Non è certamente il caso della nostra Croce perché, nel succedersi delle generazioni, è inimmaginabile il numero delle persone che l’hanno facilmente raggiunta a monte Campo e che pure, molto volentieri, avrebbero siglato un ipotetico “libro di vetta”; ora io mi rendo conto dell’utopia, ma impazzirei dalla gioia se, per assurdo, riuscissi ad avere in mano un grandissimo libro che contenesse oltre un secolo di firme: dal 16 settembre 1900  fino al 31 ottobre 2022.

Sono convinto che per la maggior parte di quelle persone, specie le più semplici, quelle “scalate” avessero un profondo significato spirituale: senza nulla togliere, s’intende, alla spensieratezza e alla gioiosità delle classiche gite a monte Campo, come quelle che concludevano i festeggiamenti  dell’Otto settembre.

Sono stato ancora lieto di sapere che esistevano ed esistono tuttora delle cosiddette “croci meteorologiche”: accanto alle quali sono collocate, sfruttandone la posizione, diverse apparecchiature, ad esempio anemometri per il monitoraggio del vento ed altro; ce ne sono tuttora, se non vado errato, anche a monte Campo ed è purtroppo vero che talora disturbano un po’ l’armonia del paesaggio; a me piace il simpatico ricordo di mia nonna materna che, pur non essendo nata a Capracotta, si vantava di fare eccellenti previsioni del tempo semplicemente osservando, dalla finestra di casa, il gioco delle nuvole e la visibilità più o meno buona della Croce: altro che satelliti meteo?

Avviandomi alla conclusione, ho l’impressione di aver raggiunto davvero quella Croce in una splendida giornata di sole; ora sto ripercorrendo in discesa il sentiero di monte Campo mentre, per un attimo, riaffiora nella mia mente il mistero che tuttora circonda il suo nome; come ho già avuto occasione di ricordare, infatti, persino in una mappa del 1781 non risulterebbe ancora questa denominazione (?): ma non è importante.

Piuttosto, prima che il mio sogno a occhi aperti svanisca, mi sforzo di rivivere l’ultima, lontanissima occasione in cui ho mi sono trovato all’alba, con il sorgere del sole, accanto a quella Croce; da quel luogo incantato sembrava che lo sguardo raggiungesse l’infinito e non è casuale che mi rammenti una frase dalle “Confessioni” di sant’Agostino; che io sappia, era stata ripresa anche da Francesco Petrarca, proprio nel racconto di una sua faticosa ascensione al “monte Ventoso”, in Provenza:

E vanno gli uomini a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano’, il corso degli astri e trascurano sé stessi

Ripensando alla mia vita, ho davvero speso poco tempo a “contemplare le cime dei monti”, mentre ho certamente escluso tutto il resto; ciò nonostante ho il timore di aver trascurato me stesso ed è stato un errore imperdonabile: fossi almeno rimasto più a lungo in Preghiera a monte Campo, ai piedi della nostra, amatissima “Croce di vetta”!   

Aldo Trotta