Gli operai capracottesi della SNIA Viscosa di Roma (Parte III – Fine)

La pastorizia è stata per secoli la principale fonte di sostentamento per gli abitanti di Capracotta: un piccolo paese del sud, posto a 1421 metri di altitudine, isolato per mesi dalle copiose nevicate, ha visto i propri figli cercar fortuna in Italia e all’estero, non essendo sufficienti la transumanza ed un’agricoltura di pura sussistenza, a garantire una vita decorosa.

Il capracottese spinto oltre che dal bisogno, anche dalla forte determinazione di voler migliorare le condizioni proprie e della famiglia, ha cercato con tenacia e perseveranza qualsiasi occasione di lavoro.

Anche nella fabbrica romana della SNIA VISCOSA (una delle più grandi fabbriche italiane nate agli albori del fascismo), i capracottesi hanno lasciato tracce della loro presenza.

Ho cercato attraverso vari tentativi di rintracciare gli eredi degli operai che qui hanno prestato la loro opera, ma senza successo.

Nel leggere queste righe, forse qualcuno potrà riconoscersi come erede o parente dei due compaesani (un uomo e una donna) qui impiegati, scoprire o avere conferma che chi li ha preceduti abbia tentato anche questa strada, in un lavoro gravoso e non privo di rischi per la salute, pur di guadagnarsi e condividere il pane con la propria famiglia.

L’archivio della SNIA è stato recuperato dopo quasi 40 anni di totale abbandono: non è da escludere che anche altri compaesani possano aver prestato la loro opera qui, ma di ciò, purtroppo in questo archivio, oggi non sono presenti ulteriori testimonianze!

Il primo operaio rintracciato: Sebastiano DI TELLA, figlio di Domenico e di Cecilia SAMMARONE, nato a Capracotta il 9 febbraio 1902, assunto il 30 maggio 1927 presso il reparto “filatura” (qui la viscosa assumeva forma di filamento e veniva arrotolata su bobine di metallo) fino al 2 novembre 1927, data del suo licenziamento volontario e dalla sua scheda risulta una paga oraria di Lire 1,85 (per 8 ore = 14,80).

Sebastiano risiedeva nel convitto presente all’interno della fabbrica, ve ne era anche un altro che ospitava le donne.

Maria Loreta POLICELLA, figlia di Raffaele e di Angelarosa MOSCA, nata a Capracotta il 22 dicembre 1911, è l’altra compaesana.

Assunta il 9 luglio 1931 nel reparto “aspatura” (il rayon veniva qui raccolto in matasse), anche lei si licenzia volontariamente in data 26 settembre 1931.

La sua paga oraria era inizialmente di Lire 0,84, ma subì “addirittura” un aumento nel mese successivo pari a 0,95 (in una giornata Lire 7,60: quasi la metà di quanto 4 anni prima guadagnasse Sebastiano!).

Maria Loreta abitava a Roma in Via del Re, 41 (l’attuale Viale Trastevere): non sappiamo se in famiglia, presso parenti o conoscenti.

Il licenziamento volontario è prassi abbastanza comune in questa fabbrica: i turni da 8 ore sono massacranti, il contatto con veri e propri veleni, paghe basse, discriminazioni tra operai e operaie e tra centro-nord e sud, le frequenti punizioni tramutate in trattenute di ore o giorni interi di lavoro: sono gli elementi che hanno concorso all’abbandono della fabbrica e alla ricerca di valide e soprattutto più umane alternative!

Non abbiamo notizia di cosa abbiano fatto in seguito i nostri due giovani (all’epoca), ma come in tantissimi altri casi analoghi, mi piace pensare che abbiano trovato una dignitosa sistemazione, formato una famiglia e giunti fino ad una tarda età.

Anche questo è un altro piccolo tassello che si aggiunge a quell’immenso puzzle che è la storia di Capracotta, con la speranza che quattro mesi di ricerche, abbiano potuto produrre oltre che qualcosa di nuovo, anche di buono!

Paolo Trotta

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