Malinconia: un sentimento da rivalutare

La “rufa della Saudade” di Aldo Trotta a Capracotta

In diverse recenti occasioni, ho cercato di fare chiarezza nei miei pensieri, immerso come sono in una stagione avanzata della vita che già di per sé, come è noto, espone alla tristezza e alla depressione; tutto ciò essendomi reso conto di non poter assecondare i miei desideri e le mie aspirazioni per la vecchiaia: a cominciare dal fatto che, a motivo di gravi malattie in ambito familiare, ho dovuto accettare soluzioni esistenziali ben diverse da quelle che immaginavo; da buon montanaro ad esempio, mi sono illuso di poter tornare stabilmente a Capracotta che avevo dovuto lasciare da ragazzo: sono stato invece costretto a trasferirmi vicino al mare per cui avevo sempre dimostrato molta insofferenza.

Mio malgrado perciò, ho avuto prova di ciò che sosteneva John Lennon in una canzone:

“La vita è quello che ti succede mentre  sei  impegnato a fare altri progetti”.

Non ho mai coltivato né, tanto meno approfondito le discipline che studiano i percorsi mentali e ho trascurato per mia scelta, durante i corsi universitari, materie complementari come la psicologia clinica; perciò, in modo istintivo e forse difensivo, avevo superficialmente attribuito tutto il malessere alla dolorosa “nostalgia” per il mio luogo di nascita: che avevo persino chiamato con l’antico, inusuale appellativo di “malattia del paese”.

Più di recente ho sperato che il mio sentimento fosse in realtà meno dirompente e che potessi ancora, in qualche modo, indirizzarlo verso la cosiddetta “nostalgia creativa”; non mi rendevo conto di trovarmi già nella ”quarta età” e quindi di non potermi porre altri obbiettivi; così è innegabile, specie negli ultimi anni, che io non sia riuscito a tirarmi fuori da un vero e proprio ginepraio spirituale.

Essendo inoltre costretto a restare a lungo in casa, “solo e pensoso” mi sono arrovellato nel mio disagio interiore che, lo riconosco, mi ha fatto persino assumere l’atteggiamento fisico della persona gravemente depressa, con la testa appoggiata a una mano e lo sguardo perso nel vuoto: ma non ho voluto e non voglio rassegnarmi a questo stereotipo; al contrario sia pure a malincuore, ma temendo di diventare ancor più accidioso, ho accettato la sfida di credere che ci siano valori  preziosi anche nella “malinconia”.

Ho cominciato dal pensiero di Aristotile che si chiedeva come mai tutti i grandi poeti, i filosofi e gli artisti avessero un’inclinazione per questo sentimento; appare incredibile, ma i malinconici sembrano possedere una sensibilità aumentata, uno straordinario talento nel trasformare la tristezza in una forza salvifica, nel provare gratitudine e gioia di fronte al divino, all’arte e alla bellezza in qualunque forma si manifestino.

Sono tornato, perciò, alla letteratura pur non potendo certo paragonare la mia sensibilità con quella di chi ha saputo utilizzarla come terapia; è stato comunque rassicurante apprendere che diverse, autorevoli correnti di pensiero tendono a riconoscere non solo i gravi inconvenienti della malinconia, ma anche i suoi incredibili pregi.

Ho avuto poi l’idea di leggere un libro del mio docente universitario di Neurologia, il compianto professor Paolo Pinelli intitolato, guarda caso, “Elogio della malinconia”; ed ho appreso che può essere di grande aiuto osservare, ad esempio, “il sorriso di un bambino che guarda perplesso e abbraccia la madre (Dostoevskij), la gratitudine di una persona per cui si è riusciti a fare del bene (Manzoni), l’ingenua bellezza di una fanciulla come Silvia (Leopardi).

Ancor più rassicurante è stato per me avvicinarmi al pensiero della scrittrice americana Susan Cain che di recente ha pubblicato un libro intitolato: “Il dono della malinconia – Indagine su un sentimento”: per secoli, purtroppo, quest’ultimo è stato assimilato alla depressione nel senso più deteriore e psichiatrico della parola.

Al contrario già Charles Baudelaire scriveva di “non poter nemmeno immaginare una bellezza priva di questo sentimento” che non ci deve far sentire in colpa ma che, al contrario, può diventare la fonte nascosta di tante energie spirituali: persino del desiderio di Dio.

Non arrivo certo a condividere l’affermazione di Victor Hugo, che diceva:

La malinconia è la felicità di essere tristi”,

ma vorrei che il mio diventasse uno “stato d’animo” serenamente riflessivo e privo di angoscia: perciò mi ha dapprima incuriosito e poi appassionato un famoso termine della lingua portoghese, la cosiddetta Saudade”.   

Nel suo significato etimologico vuol dire “Solitudine” e un po’ anche Saluto”, ma in realtà indica una specie di sospensione interiore; io la definirei un “sentimento intermedio tra nostalgia e malinconia”, quasi una loro “variante benefica”, capace di rinnovare  l’anelito per tutto ciò che si è amato e si ama. Se la mia interpretazione fosse corretta, la “Saudade” rappresenta perciò “la speranza di riuscire a rivivere gli eventi remoti interpretandoli come sequenze tra passato, presente e futuro” e qualcuno è giunto persino al paradosso di considerarla presenza di un’assenza, oscurità che dà luce”; mi piacerebbe anzi trovare, ma non è certamente facile, un termine italiano che traduca quello portoghese di “Saudade.

Intanto, di nuovo ricorrendo alla letteratura, mi ha emozionato un componimento di Giovanni Pascoli tratto dalla raccolta “Myricae”; intitolato “ALLORA”, ha rafforzato il mio convincimento che la poesia rappresenti davvero un rimedio per la malinconia:

Allora… in un tempo assai lunge
felice fui molto; non ora:
ma quanta dolcezza mi giunge
da tanta dolcezza d’allora!

Quell’anno! per anni che poi
fuggirono, che fuggiranno,
non puoi, mio pensiero, non puoi,
portare con te, che quell’anno!

Un giorno fu quello, ch’è senza
compagno, ch’è senza ritorno;
la vita fu vana parvenza
sì prima sì dopo quel giorno!

Un punto!… così passeggero,
che in vero passò non raggiunto,
ma bello così, che molto ero
felice, felice, quel punto!”

La serenità di questi versi sembra adattarsi benissimo al mio vissuto e alla mia storia personale perché “quell’anno”,quel giornoe quel  punto” significano per me il favoloso periodo giovanile vissuto tra i monti del mio paese per cui, lo ripeto:

“ … quanta dolcezza mi  giunge da tanta dolcezza d’allora!”

Mi torna in mente infine, è bello ricordarlo, che nel centro storico della città di Lisbona, c’è una stradina denominata  Rua da Saudade”; anche per me, idealmente, ce n’è una del cuore che scende verso la mia vecchia casa di Capracotta: in realtà ce ne sono tante e tutte, secondo me, meriterebbero l’affettuoso nomignolo dialettale di Rufɘ della Saudade”; so bene che può sembrare assurdo, ma sono certo che ogni giorno non cessino di raccontare della mia malinconia restando lì, pazienti e silenziose, ad aspettarmi    

Aldo Trotta

Bibliografia:

  • P. Pinelli, Elogio della malinconia, Franco Angeli Editore, 2008;
  • S. Cain, Il dono della malinconia- indagine di un sentimento, Einaudi Editore, 2023