Quel mazzo di violette della “Guardata”…

Cristina Di Vito nacque il 19 maggio 1907 da Giuseppe Di Vito e Lucia Sammarone. I genitori l’anno dopo emigrano negli Stati Uniti lasciandola ai nonni paterni Amatonicola e Cristina Pollice: avevano già da tempo richiesto il visto e non potevano dilazionare la partenza. Si impegnarono a tornare quanto prima per portare anche lei oltreoceano.

Ma le cose andarono diversamente da come i genitori avevano programmato: non fecero molta fortuna e mancavano sempre i dollari per il suo viaggio. Passarono anni, nacquero altre quattro sorelle e un fratello e Cristina, ormai giovinetta, si era affezionata ai nonni. Poi nel 1924 il padre, sapendo che alcuni paesani si sarebbero recati a Burlington dove lavorava, chiese a loro di accompagnare Cristina. E così la ragazza si ritrovò di colpo sradicata dal suo ambiente, allontanata da “Mammuccia e Tatucciɘ”, in compagnia di persone più grandi di lei e diretta verso una terra sconosciuta.

Durante il viaggio non fece altro che piangere. Giunse a New York il 18 febbraio 1924 dopo dodici giorni di navigazione, dodici giorni di lacrime. Contrasse un’infiammazione agli occhi e, al momento dello sbarco a Ellis Island, fu trattenuta per accertamenti in ospedale da dove fu dimessa per «glucoma» negandole il visto d’ingresso.

Non ebbe modo di conoscere la madre e i fratelli e il 13 marzo il padre Giuseppe, dal 1922 naturalizzato americano, chiese il passaporto per riportarla in Italia. In questa nuova traversata conobbe più da vicino le vicende famigliari, le difficoltà di ambientamento ed economiche che la numerosa famiglia dovette superare. Tornarono a Capracotta e alla felicità dei nonni che finalmente riabbracciavano il figlio si contrappose il suo dolore per un nuovo distacco. Il padre le promise che avrebbe fatto di tutto per tornare a prenderla e prima di partire, ai primi di maggio, andò alla “Guardata” e raccolse un bel mazzo di violette da portare in regalo alla madre. Il distacco fu doloroso e un velo di tristezza la avvolse.

Come le aveva promesso, il padre effettivamente cercò un nuovo lavoro più redditizio per saldare i debiti che aveva fatto per i tre viaggi imprevisti e per creare la disponibilità economica per riunire la famiglia. Fu assunto in una fabbrica metalmeccanica con annessa fonderia: la US Pipe & Foundry. Il salario era ottimo anche se il lavoro era pesante e pericoloso. Ma il 14 dicembre del 1924 il padre subì un incidente sul lavoro e dopo pochi giorni morì.

Quando ricevette la notizia, Cristina capì che non sarebbe più tornata negli Stati Uniti. Il suo pensiero inevitabilmente andava alla madre vedova con cinque figli da accudire e da crescere. Dopo tre anni, a 21 anni, Cristina sposò Giavannantonio Di Nucci, ebbe sei figli ancora tutti viventi.

La madre spesso le scriveva che conservava gelosamente quel mazzo di violette appassite e ogni volta che le guardava pensava a lei. Nel 1972 Cristina visse uno dei momenti più toccanti della sua vita: due sorelle finalmente andarono a trovarla a Capracotta dagli Stati Uniti e restarono con lei per quindici giorni. Nonostante lei non parlasse inglese e loro due non parlassero italiano riuscirono, non si sa come, a colloquiare. Prima di morire anche una nipote sposata con un militare della Nato di stanza a Napoli andò a trovarla a Capracotta.

Domenico Di Nucci

Fonte: AA.VV., A la Mèrɘca. Storie degli emigranti capracottesi nel Nuovo Mondo, Associazione culturale “Amici di Capracotta”, Cicchetti Industrie Grafiche Srl, Isernia, 2017