Lasciamoci abbagliare dalla luce del Natale

Il pannello con la Natività del Presepe itinerante 2023 a Capracotta

So di essere ripetitivo, ma ancora una volta debbo confessare che non riesco a mitigare come vorrei la mia “malinconia”, già favorita dalla fascia di età avanzata ed essendo cessata la vita attiva di lavoro e di relazioni; mi dispiace moltissimo, tra l’altro, di soffrirne maggiormente proprio nel periodo che precede le festività natalizie.

Negli ultimi tempi non aiutano certo a migliorare il tono dell’umore le notizie che giungono dal mondo, assediato da tante calamità e persino dalla guerra, tornata a riempire le cronache di ogni giorno; così vediamo crescere a dismisura il timore che tenebre sempre più dense possano oscurare la Luce del Natale, minacciando anche di farci perdere la virtù della Speranza.

Si ha la netta impressione che tanti secoli di cristianesimo e di civiltà siano trascorsi invano, senza produrre alcun beneficio per l’umanità.

Così suonano come un tremendo rimprovero i consigli che madre Teresa di Calcutta ci aveva regalato nel suo componimento “E’ Natale” di cui, purtroppo, non abbiamo fatto tesoro.

“È Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
È Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
È Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.”

Ho avuto la curiosità di leggere un brano del grande Giuseppe Ungaretti dedicato alla prossima festività e mi ha sorpreso il fatto che non contenga alcun riferimento diretto al suo titolo, Natale” appunto; il poeta, infatti, anela soltanto a un attimo di pace durante una breve licenza dal servizio militare e dai suoi versi traspare molto netto il suo rifiuto della guerra: proprio nel momento in cui stava infuriando il primo conflitto mondiale.

Allo stesso autore e allo stesso tragico periodo appartiene un’altra poesia, intitolata “San Martino del Carso”, che ho pure avuto la curiosità di leggere; sia pure con uno spiraglio di speranza, il brano è anch’esso un’appassionata requisitoria contro la guerra: la stessa che, purtroppo, sta dilagando anche oggi, e che giustamente è stata definita da Papa Francesco “terza guerra mondiale…a pezzi”:

“Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non m’è rimasto

neppure tanto

Ma nel mio cuore

nessuna Croce manca

È il mio cuore

il paese più straziato”.

È infatti straziante per l’umanità che, anche nel 2023, si continuino a vedere così tante macerie, e non solo materiali; ho cercato conforto, perciò, nell’ omelia di un amico sacerdote, ascoltata tanti anni fa.  Era dedicata alla famosa parabola del “buon samaritano” e proponeva un inquietante interrogativo:

“Pensate che Gesù ci avesse assicurato che, dopo 2.000 anni dalla sua venuta, non avremmo più trovato dei malviventi sulla nostra strada? 

Mantenendone così lo stesso, retorico tono, mi è venuta l’idea di adattarne il quesito al tragico scenario dei nostri giorni:

“Credevate davvero che, dopo 2.000 anni, il mondo sarebbe diventato un’oasi di assoluta tranquillità?”

Certamente NO e ne siamo tutti convinti, ma vale la pena di ricordare che è la salvezza eterna a rappresentare la vera, unica promessa divina per ciascuno di noi: concluso, s’intende, il pellegrinaggio terreno di spiritualità e di bontà cui siamo tenuti e che la stessa festività del Natale viene a ricordarci.

Intanto resta imbarazzante, anche per la sua incredibile attualità, la graffiante ironia dello scrittore dialettale Carlo Alberto Salustri, soprannominato “Trilussa”; che nella sua poesia “Er Presepe” diceva così:

“Ve ringrazio de core, brava gente,
pè ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore nun capite gnente…

Pé st’amore so nato e ce so morto,
da secoli lo spargo da la croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente,
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.”

Non si può certo dissentire dal fatto che lo spirito del Natale non è certamente quello dei Presepi o degli alberi scintillanti, tanto meno quello della corsa ai regali ma voglio davvero… resistere allo sconforto facendo di tutto, nonostante tutto, per non distogliere lo sguardo dalla Luce radiosa che proviene dalla “Capanna di Betlemme”: lasciamoci anzi ABBAGLIARE per non ritrovarci… a camminare nel buio incalzante delle tenebre.

Così, mentre riascolto la melodia delle zampogne come quando ero bambino a Capracotta, sono di nuovo i versi di Giovanni Pascoli a regalarmi un sorriso:

“Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla”

È istintivo poi, sempre rivolto alle ciaramelle, che mentalmente io reciti un’altra strofa della poesia, quella che dice:

“Prima del grido delle campane,

fatemi dunque piangere un poco”

 e penso che qualcuno potrebbe mettermi in difficoltà se mi chiedesse ora:

   “Ma come puoi sorridere e piangere nello stesso momento?

Risponderei, senza esitazione alcuna, che a Natale è possibile.

A proposito: BUON NATALE e UN ABBRACCIO A TUTTI!

Aldo Trotta